Luca Tescaroli (foto LaPresse)

Il pm che accusa per l'archivio

Redazione

Storia di Luca Tescaroli, uno dei tre moschettieri di Roma mafiosa. Idee molto forti su responsabilità della politica in fatto di mafia, acquisizioni giudiziarie quasi nulle: tutto finisce in niente.

In Sicilia ha inseguito a lungo i mandanti occulti delle stragi del 1992, ma ne ha ricavato solo archiviazioni, chieste e ottenute dai suoi colleghi dopo che lui era andato via. Luca Tescaroli, uno dei tre pm di “Mafia capitale”, ha lasciato la procura di Caltanissetta nel 2000, dopo avere seguito il processo per la strage di Capaci e aver fatto condannare all’ergastolo ventiquattro mafiosi. Titolare anche del fascicolo sulle eventuali “entità” esterne alla mafia, che avrebbero deciso a Roma o chissà dove se e come eliminare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lasciò la Sicilia in polemica col capo della Direzione distrettuale antimafia dell’epoca, Giovanni Tinebra: “Ho ritenuto che non vi fossero più le condizioni per proseguire”, spiegò infatti tempo dopo essere andato via. In quel fascicolo, archiviato nel 2002 su richiesta del successore di Tinebra, Francesco Messineo, erano coinvolti anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, sempre mascariati ma nei cui confronti mai nulla di concreto era ed è emerso. In maniera che apparve già allora alquanto sibillina, Tinebra ammise che l’inchiesta sui mandanti esterni la aveva “fatta tutta lui”, cioè Tescaroli. Anche se non era stato certamente l’attuale pm romano a inventare il metodo di un’indagine che va avanti col sistema “apri-e-chiudi” e che continua a essere aperta tuttora: l’ex procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, Tinebra, Messineo, il successore di Vigna, Pietro Grasso, fino ad arrivare all’attuale capo della Dda, Sergio Lari, hanno sempre tenuto viva la pista che porterebbe a personaggi istituzionali o para-istituzionali, che avrebbero “lucrato” sul sangue dei due giudici uccisi a Capaci e in Via D’Amelio.

 

L’indagine nissena riguardò, a più riprese, Silvio Berlusconi e Dell’Utri e si basò, all’inizio, su dichiarazioni provenienti da un pentito perlomeno controverso come Salvatore Cancemi, valorizzato da Tescaroli e da altri magistrati delle procure siciliane, morto nel 2011, dopo avere sempre messo in evidenza una scarsa capacità di memoria, soprattutto quando si trattava di ricordare le proprie responsabilità. Aveva dimenticato, ad esempio, di essere stato uno degli organizzatori della strage del 19 luglio del ’92 contro Borsellino: ci vollero le dichiarazioni di altri pentiti e solo allora ricordò di avere partecipato anche lui.

 

Ciò nonostante, quel collaboratore di giustizia fu per anni l’uomo al centro del “Grande complotto” evocato da fior di magistrati, per sostenere che la Fininvest e Berlusconi sarebbero stati gli ideatori delle stragi, per sovvertire l’ordine costituito, soffocare nel sangue e nell’indignazione la Prima Repubblica e sostituirsi al vecchio potere con l’aiuto di capiclan, mammasantissima e picciotti. Ai quali, ovviamente, sarebbe stata promessa ogni sorta di impunità, col nuovo regime. Tesi che sicuramente non è stata inventata né coltivata solo da Tescaroli, ma che vide nel magistrato di origini venete uno dei primi fautori. Con Fininvest scontri e questioni sono andati avanti fino ai mesi scorsi, quando il pm reagì a una citazione civile dell’azienda denunciandone penalmente un manager e due avvocati, finiti imputati di calunnia. E’ finita senza vincitori né vinti, col proscioglimento dei legali e del dirigente davanti al gup di Verona e con una sentenza civile che ha escluso che nel libro “Colletti sporchi”, scritto da Tescaroli col giornalista Ferruccio Pinotti, nel 2008, ci fossero affermazioni diffamatorie contro la Fininvest.

 

Su Cancemi Tescaroli espresse più volte le proprie convinzioni: “Sull’identità dei mandanti occulti – dichiarò nel 1999, quando era ancora a Caltanissetta – grazie al pentito, siamo passati dalla possibilità alla probabilità”. Il 19 marzo del 2001 precisò: “Non ho mai detto che grazie a Cancemi siamo passati dalla possibilità alla probabilità”.

 

[**Video_box_2**]Pochi giorni dopo, al Corriere della Sera, il 27 marzo di quello stesso anno, quando era già a Roma, parlò di divulgazione di “atti interni all’inchiesta sui mandanti occulti, che chiamano in causa il sottoscritto, realizzando una sovraesposizione e una delegittimazione di chi ha semplicemente indagato senza distinguere le persone sulla base del censo, del proprio potere personale e del ruolo rivestito nella società, com’è previsto dalla legge”.

 

Ricordò, ancora, che nella requisitoria del processo d’appello per la strage di Capaci aveva evidenziato che le dichiarazioni di Totò Cancemi e di un altro pentito allora come ora controverso, Giovanni Brusca, non erano in contrapposizione fra di loro. Ma i pm del suo ex ufficio la pensavano in maniera diametralmente opposta. Mentre a Palermo, allora come oggi, fecero tesoro di quelle parole che evocavano le “ipotesi di trattative coltivate e gli attentati eseguiti e programmati nell’azione volta a creare le condizioni per l’affermazione di una nuova formazione politica”.

 

Attento a non farsi delegittimare, Tescaroli accettò però di scrivere, nel 2002, una delle due prefazioni del libro di Cancemi, “Riina mi fece i nomi di…”. L’altra prefazione era del suo collega Nino Di Matteo, già pm a Caltanissetta, nel processo per la strage di Via D’Amelio che si basò sul falso pentito Vincenzo Scarantino, oggi a Palermo, dove indaga sulla trattativa stato-mafia. Il libro fu scritto dal collaborante e da Giorgio Bongiovanni, pittoresco personaggio con le stimmate, animatore di “Antimafia 2000”, ascoltatissimo dai pm che lottano contro Cosa nostra.

 

Tescaroli gestì anche, in primo e secondo grado, il processo per l’omicidio del presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi, ufficialmente suicidatosi nel 1982 a Londra, sotto il Ponte dei Frati Neri. Uno dei suoi testi nel processo di Appello fu Massimo Ciancimino, ben noto per le sue patacche. Il risultato, tra Assise e Assise d’appello, non cambiò: Carboni, Calò, Diotallevi furono tutti assolti.

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