Susanna Camusso (foto LaPresse)

Susanna mon amour

Tutti quelli che salgono sul carro della Camusso per attaccare Renzi

Redazione

Quell’assurda difesa della concertazione che unisce Passera, il Corrierone e un improbabile garante degli scioperi.

Ah, che bella la Cgil e quanto è saggio il suo segretario generale Susanna Camusso, e come sarebbe stato meglio filar d’amore e d’accordo con il sindacato anziché riceverlo una tantum, e freddamente, a Palazzo Chigi. Avevamo quel capolavoro della concertazione, invidiato in Europa, l’abbiamo gettato nel secchio per il Jobs Act, ma scherziamo? E dunque alla prima della Scala, dove da mezzo secolo sempre ci sono i lanci d’uova e anche peggio, l’ex ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera individua, prima d’andar via in smoking, “un disagio grande e diverso che dovremmo ascoltare”, e il sottinteso è che il premier Matteo Renzi non ascolta. Ci penserebbe invece Passera con Italia Unica, mica come il bieco thatcherista renziano Dario Franceschini per il quale “le proteste sono un danno d’immagine e anche economico”.

 

Intanto al Corriere della Sera, neanche fosse un Guardian degli anni Ottanta, si compone un’intera pagina di intervista a Roberto Alesse, presidente dell’Autorità di garanzia per gli scioperi (nome completo: commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali). Il quale, allarmato da una conflittualità “a livello patologico” – numero di scioperi passato da 1.279 a 1.299, più 1,5 per cento – ha una soluzione. “Sta dicendo che bisogna tornare alla concertazione?”, alza la palla il giornalone un tempo detto della classe produttiva. “Lo dico in modo non retorico, non pensando a riti stantii e non propositivi”, risponde Alesse, nella cui biografia spicca la qualifica di “dirigente generale di ruolo della presidenza del Consiglio dei ministri”, nonché di ex consigliere giuridico nella passata legislatura del vicepresidente del Consiglio, del ministro degli Esteri e del presidente della Camera. Insomma, di Gianfranco Fini. Per nulla stantio ma propositivo Alesse pensa che non ci sia tempo da perdere: “Il metodo lo dobbiamo rilanciare in fretta. Le istituzioni tendono a non dialogare più, dimostrando di essere talvolta troppo pavide e talvolta troppo autoreferenziali”. Caspita. “Una denuncia molto grave”, si allarma il Corrierone de Milàn. Per il quale “c’è chi mette in discussione il diritto di sciopero”.

 

Invece della linea dura che allarma il Corriere, garantisce il Garante degli scioperi, “i sindacati sarebbero propensi a un passo indietro in termini di minori garanzie pur di fare accordi”. La soluzione allora eccola qua: l’arbitro che dovrebbe occuparsi di verificare se lo sciopero va a danno delle parti deboli, cittadini e imprese (trattasi infatti di astensione dal lavoro nei servizi pubblici), mette in tasca il fischietto e dopo avere confabulato con una delle due squadre dice all’altro allenatore, cioè al governo, di cambiare modulo.

 

Del resto a rimettere sugli scudi la Cgil e la concertazione, oltre ai Fassina, alle Bindi, ai Civati, insomma alla sinistra del Pd – che in fondo quello è il suo lavoro e quelli gli elettori – sta provvedendo pure l’altra parte. Ed ecco dunque un Matteo Salvini (Lega) che, verificata l’astensione nella rossa Emilia, terra di Camere del lavoro e pensionati tesserati, si dichiara equidistante tra Renzi e Cgil, ma in fondo più vicino a quest’ultima nelle cui file magari spera di mietere come il Cav. nel ’94. E subito lo scavalca a sinistra, ma da destra, Renato Brunetta, che addirittura con la Camusso combina un tête-à-tête “per discutere sulla democrazia e di dialogo sociale”. E la leader cigiellina che esprime al capogruppo di Forza Italia “serie preoccupazioni” su Jobs Act, legge di stabilità e riforma della Pubblica amministrazione. Lui nella parte di lei o lei nella parte di lui?

 

[**Video_box_2**]Sono lontani i tempi del Brunetta macellatore di statali assenteisti e ispiratore, con altri riformisti socialisti, di patti sindacali separati. Oggi Bobo Craxi e Gianni De Michelis, epigoni di quel Bettino che vinse da solo il referendum sulla scala mobile, si dichiarano anche loro “vicini e solidali con la Cgil”.