Salvatore Buzzi in un filmato dei Ros

Millantare millanterie

Quando essere nominati al telefono è già disgrazia

Salvatore Merlo

Millantare millanterie è millanteria, ma stavolta sono i magistrati ad alludere alla millanteria, alla smargiassata di Odevaine. Analisi linguistica di prove regine telecom che poi sono un po’ balle.

Anche millantare delle millanterie è millanteria, e dunque non si può ragionevolmente escludere, senza passare per millantatori, che rovistando nelle scorie dialettali e nei rimasugli verbali, nelle intercettazioni pittoresche di Luca Odevaine e di Salvatore Buzzi, anche in quelle più inverosimili, ci si trovi la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, e cioè la prova provata di quel pregiudizio secondo cui in Italia non c’è nulla di più pulito della spazzatura, poiché è nella spazzatura delle conversazioni a ruota libera che si nasconde la realtà delle cose, perché è nel codice iperbolico e romanaccio di una battuta tra compari che si occultano gli umori, e insomma è nelle intercettazioni, anche in quelle più smargiasse e più improbabili, che si svelano i traffici: “Me li sto a compra’ tutti”, “Repubblica ubbidisce a Goffredo”, “abbiamo consegnato soldi a tutto il Parlamento”, “Cossutta ne ha presi pochi di soldi per fare Ponte di Nona”. Sino alla scena grottesca di Gianni Alemanno, che accompagnato dal figlio piccolo Manfredi, secondo Odevaine, “si è portato via… ha fatto quattro viaggi lui e il figlio con le valigie piene de’ soldi in Argentina… se so’ portati le valigie piene de contanti, me l’ha detto uno della Polaria”.

 

Millantare millanterie è millanteria, dicevamo, ma stavolta sono i magistrati, non degli acchiappafantasmi, ad alludere alla millanteria, alla smargiassata di Odevaine, che è romano de Roma come Buzzi e come i personaggi di Alberto Sordi, ed è cioè immerso in un linguaggio di sbruffoneria parolaia che trasforma anche la corruzione in vanteria gradassa, in una città, Roma, la cui vita sociale è popolata d’individui ansimanti nell’inventare battute ed esagerazioni con velocità oppressiva. E infatti: “Non ci sono riscontri di trasferimenti di soldi da parte di Gianni Alemanno all’estero”, ha fatto sapere la procura, mentre i lettori di giornali, ieri mattina, già si figuravano Alemanno nei panni del malversatore tonto e del tangentista maldestro: così sfigato da portare il denaro contante verso l’Argentina a un passo dal suo secondo default tecnico, con le banche tutte sull’orlo del fallimento.

 

[**Video_box_2**]E insomma quello delle intercettazioni romanesche è evidentemente un regno labirintico cosparso di trabocchetti nei quali si rischia di cadere a ogni passo. E infatti Odevaine e Buzzi, nelle loro conversazioni, sono felici di trattare la politica come materia infima, come i monatti che facevano affari con gli appestati, come gli spacciatori con i drogati. Dunque esagerano, “ce li abbiamo tutti in mano”, “per i soldi se so’ scannati”, perché nell’esagerazione, nella millanteria, c’è l’autoassoluzione, come nell’improbabile immagine dell’ottantottenne Armando Cossutta che “ha preso pochi soldi per fare Ponte di Nona”. E più lo dicono, più esagerano, più sono imprecisi, più si rafforza in loro l’idea che “siamo tutti carogne”. E insomma più Buzzi e Odevaine la sparano grossa nelle loro conversazioni e più credono di essere puliti perché maneggiano un mondo di correi e dannati della terra: “Sai che devi fa’!… devi andare da Goffredo e dire che si chiamasse come cazzo si chiama, quello di Repubblica, quello che ubbidisce a Goffredo”, urla Odevaine in un caso più unico che raro di doppia iperbole: millanta che Goffredo (Bettini) sia a disposizione di Buzzi e millanta che a sua volta Repubblica sia a disposizione di Bettini. E chiunque capisce che non bisogna mai lasciarsi troppo prendere da queste storie, che sono inestricabili miscugli di folklore e di banalità, abbastanza vere e abbastanza false per passare da una chiacchiera all’altra, da un’intercettazione all’altra, ogni volta abbellendosi un pochino. Certo la millanteria può diventare un alibi per furbetti colpevoli, e come ha detto ieri l’avvocato Giulia Bongiorno, è per questo che le indagini sono difficili “e bisogna aspettare processi e sentenze”, perché le condanne non possono basarsi sul semplice fatto di essere stati nominati in una conversazione. Anche se finire nominati da Buzzi e Odevaine, di questi tempi, è già una disgrazia.

 

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.