Il governatore della Bce Mario Draghi con Angela Merkel (foto LaPresse)

A quale gioco gioca la Merkel

Redazione

Berlino bacchetta e smentisce, pragmatismo e messaggi a Draghi.

L’ Italia sta affrontando un processo di riforme che richiede pazienza e che ha l’appoggio di Angela Merkel”, ha detto ieri il portavoce della cancelliera tedesca. Dichiarazione distensiva all’indomani dell’intervista della stessa Merkel alla Welt in cui sottolineava che “la Commissione ha anche detto chiaramente che i piani finora presentati dai due paesi (Italia e Francia, ndr) non sono ancora sufficienti. E io concordo appieno con questo giudizio”. Dicono i realisti: sarebbe stato difficile per la cancelliera, ammesso che l’avesse voluto, sbilanciarsi al punto di lodare le riforme italiane e francesi e smentire la Commissione attendista. Replicano altri: comunque la bacchettata esplicita a Matteo Renzi e a François Hollande si poteva evitare. Secondo Repubblica di ieri, però, “la cancelliera ha già perso”, le politiche di austerity fiscale sono state oramai abbandonate da Bruxelles, e perciò Merkel mostra il suo volto duro a uso interno, per vedere confermata la leadership dello schieramento conservatore. Che ci sia una componente elettoralistica nelle dichiarazioni merkeliane è probabile; come dice il proverbio americano, “prima di essere un grande senatore, innanzitutto bisogna essere eletto senatore”.

 

Più difficile credere al fatto che “Renzi e Hollande hanno già vinto”, come scriveva ieri Rep., e che addirittura il problema è adesso evitare di “stravincere” su Berlino. Le politiche dell’Eurozona certamente si evolvono. Le pressioni internazionali e la stagnazione prolungata nel nostro continente hanno progressivamente temperato certi eccessi contabili nell’applicazione del rigore da parte della Commissione Ue. La baldanza del governo italiano in carica ha perfino avuto un ruolo in questa correzione di rotta, quantomeno riabilitando una lettura più politica delle regole. Tuttavia esagerare il ruolo di Roma e Parigi può fuorviare l’analisi. Non soltanto perché Merkel, dal 2005 al suo posto mentre negli altri paesi dell’Eurozona si alternavano 54 capi di governo, può ancora sospettare che Renzi sia soltanto “di passaggio”. Ma soprattutto perché oggi il più vicino a far compiere un grande balzo in avanti al processo d’integrazione europeo è Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, con la sua idea di acquistare titoli di stato dei paesi dell’euro. Criticare la flemma riformatrice di Roma e Parigi, dunque, pare un messaggio a Francoforte: un “no” a una politica monetaria che appaia come un favore per alcuni, anche se a dire il vero non lo è.

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