Andrea Stramaccioni in piedi a bordo campo durante Inter-Udinese (foto LaPresse)

La vittoria dell'Udinese con l'Inter non è la rivincita di Stramaccioni

Sandro Bocchio

Non parlerà mai di rivincita, nemmeno dopo aver vinto a San Siro in rimonta con l'Udinese. Andrea Stramaccioni ha un doppio debito di riconoscenza, verso l'Inter e verso Massimo Moratti: è arrivato dove è arrivato, debuttando su una panchina in serie A a 36 anni appena compiuti, grazie all'ex presidente nerazzurro.

Non parlerà mai di rivincita, nemmeno dopo aver vinto a San Siro in rimonta con l'Udinese. Andrea Stramaccioni ha un doppio debito di riconoscenza, verso l'Inter e verso Massimo Moratti: è arrivato dove è arrivato, debuttando su una panchina in serie A a 36 anni appena compiuti, grazie all'ex presidente nerazzurro. Avviene a fine marzo 2012, quando la sconfitta con la Juventus si trasforma nell'opportunità di congedare senza rimpianto alcuno Claudio Ranieri, ennesimo allenatore sacrificato sull'altare post-Mourinho. Moratti pesca Stramaccioni dalla Primavera, dove era approdato una volta salutata la Roma: conquistati gli scudetti Giovanissimi e Allievi, il tecnico avrebbe voluto fare il salto nella Primavera giallorossa. Un passaggio però negato dall'ingombrante presenza di Alberto De Rossi, apprezzato come allenatore e, soprattutto, padre di Daniele: difficile, se non impossibile, prenderne il posto.

 

Un ostacolo che si trasforma nella fortuna di Stramaccioni, sempre svelto a capire come sfruttare le situazioni negative. Come quando aveva dovuto smettere di giocare a pallone, a causa di un ginocchio andato a pezzi ad appena 18 anni, in una partita di Coppa Italia disputata con il Bologna contro l'Empoli. Una carriera finita in maniera precoce, per un'altra andata a iniziare in maniera precoce, prima con i ragazzi e quindi con i giocatori veri: quando Moratti lo porta in prima squadra, Javier Zanetti è più vecchio del tecnico e parecchi nerazzurri gli sono coetanei o quasi. Una situazione che fa pensare a Stramaccioni come a un ragazzino in balia di uno spogliatoio di vecchi filibustieri ma, almeno inizialmente, il feeling che si crea è quello giusto. L'Inter riparte, il tecnico viene confermato per la stagione successiva, il presidente pensa di aver finalmente indovinato la scelta giusta in panchina al termine di una lunga serie di fallimenti. Un'illusione alimentata dai risultati: dopo aver perso in casa contro il Siena alla quarta giornata, i nerazzurri partono e non si fermano più. Arrivano sette successi consecutivi che li proiettano al secondo posto, il più dolce è quello in casa della Juventus, una partita resa ancora più accesa dalla recente storia di scudetti revocati e assegnati a tavolino. Mai i bianconeri avevano perso nel nuovo stadio, con l'Inter si smarriscono come scolaretti impreparati all'interrogazione. Un trionfo elogiato pubblicamente da Moratti ("Stramaccioni mi ha detto alla vigilia il modo in cui avremmo vinto, e così è stato") che però si trasforma nella pietra d'inciampo. L'Inter pensa che Stramaccioni possieda il tocco taumaturgico in grado di guarire da qualsiasi male, in realtà si tratta di un trucco che maschera le rughe e che cola miseramente man mano che vengono a galla i limiti – soprattutto anagrafici – collettivi.

 

[**Video_box_2**]Il mago dei giovani non riesce più a toccare le corde degli anziani, che arrancano sotto il peso di mille battaglie: Zanetti ansima in fascia, Cambiasso passeggia in mezzo al campo, Samuel e Milito sono più fuori che dentro per i problemi fisici. E l'Inter crolla. Il secondo posto di inizio novembre si trasforma nel nono di fine campionato, con nove sconfitte a corredo delle ultime dodici partite. Moratti non può fare altre che dichiarare finita la rivoluzione Stramaccioni per affidarsi alla restaurazione sotto sembianza di Walter Mazzarri. Si congeda dall'allenatore con parole che possono apparire le solite di circostanza in simili occasioni: "Sono convinto che diventerà uno dei migliori allenatori italiani". Una convinzione che pare solamente sua, senza solleticare l'interesse dei colleghi presidenti. Stramaccioni resta fermo un anno fino a quando, l'ultima estate, non lo chiamano papà e figlio Pozzo: a Udine c'è da gestire un passaggio generazionale complicato per l'addio a Francesco Guidolin, un tecnico che ha saputo portare la squadra in Champions League. Un cambio di consegne reso ulteriormente difficile dalla permanenza dell'ex allenatore in società come supervisore tecnico delle squadre di famiglia. Una presenza ingombrante che Stramaccioni rende di contorno grazie ai risultati: il gioco sarà meno spettacolare rispetto al passato, ma garantisce continuità di classifica. Ciò che i Pozzo vogliono, vista l'importanza che il settore calcio riveste negli interessi di famiglia. E l'ancora friabile Inter di Roberto Mancini serve per ritrovare una vittoria che mancava da cinque giornate: quella che Stramaccioni avrebbe volentieri barattato per un successo contro il Milan, quella per dimostrare che sul suo conto Moratti (forse) non si sbagliava.

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