Francoforte spara a salve

La flemma dei governi costringe Draghi a ritirare il bazooka

David Carretta

Rinviati gli stimoli monetari, maretta nel direttivo Bce. “Molti fatti da esaminare”. Disappunto in Borsa.

Bruxelles. “Non siamo qui per ricattare i governi” sul Quantitative easing, ma senza riforme strutturali le misure straordinarie che la Banca centrale europea sta mettendo in cantiere rischiano di non produrre effetti. E’ questa, oltre alle solite divisioni tra falchi e colombe dentro il Consiglio dei governatori, una delle ragioni che hanno spinto Mario Draghi a rinviare “all’inizio del 2015” ogni decisione su un programma di acquisto di titoli privati e pubblici analogo a quello condotto dalla Federal reserve e dalla Banca d’Inghilterra. La decisione forse non arriverà nemmeno nella prossima riunione del 22 gennaio. Perché ci sono “molti fatti da esaminare” e la discussione di ieri “è stata molto ricca”, ha spiegato Draghi con un eufemismo. Il Consiglio s’è accapigliato perfino su una parola da includere nelle dichiarazioni introduttive sulle misure già adottate dalla Bce (il programma Tltro di liquidità alle banche condizionata ai prestiti alle imprese e gli acquisti di titoli Abs e covered bond): il ritorno del bilancio della Bce ai livelli del 2012 dev’essere un’aspettativa, un’intenzione o un obiettivo? “L’intenzione” espressa ieri di portare il bilancio dai 2 trilioni di euro attuali a circa 3 trilioni “è diversa dall’aspettativa”, che era stata annunciata nella riunione del 6 novembre, ha spiegato il presidente della Bce. Ma “non è ancora un obiettivo”. E la decisione di cambiare testo “non è stata unanime”, ha detto Draghi. Il presidente della Bce ce l’ha messa tutta per convincere i mercati che il Quantitative easing è solo questione di tempo. “Non abbiamo bisogno dell’unanimità”, ha detto Draghi. L’acquisto di titoli sovrani “è uno strumento eleggibile che potremmo usare nel perseguire il nostro mandato”. Ma i mercati hanno interpretato le parole di Draghi – “more work is needed” – come un chiaro segnale che i tempi non sono maturi. I listini europei hanno chiuso in rosso, i rendimenti su Btp italiani e Bonos spagnoli sono tornati a salire, con l’euro di nuovo sopra 1,24 sul dollaro. Non è solo il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, a frenare il Qe. Almeno sei membri del consiglio direttivo sono contrari. E il problema principale riguarda come più volte sottolineato da Draghi la flemma dei governi.

 

La tedesca Sabine Lautenschlaeger (in quota Bundesbank) ha detto che “l’acquisto di titoli pubblici è inevitabilmente legato a un serio problema di incentivo” per i governi. La questione dell’azzardo morale – le mosse della Bce rischiano di scoraggiare i governi dal procedere con il consolidamento di bilancio e le riforme – torna all’ordine del giorno. E forse è a Lautenschlaeger che Draghi ha risposto, quando ha detto che “l’azzardo morale è un elemento significativo, ma solo se ostacola il nostro principale obiettivo”, che è riportare l’inflazione vicina al 2 per cento. “Non siamo qui per ricattare i governi, dicendo che non faremo una cosa se loro non ne faranno un’altra”, ha spiegato Draghi.

 

Il “Reform Compact” risolverebbe in parte il problema dell’azzardo morale? Per Draghi serve un “processo decisionale comune” simile al Patto di stabilità: “C’è da guadagnare nell’estendere il quadro che abbiamo attualmente per la politica di bilancio alle riforme strutturali”. Secondo Richard Barwell, economista alla Royal Bank of Scotland, uno “Structural compact con paesi che cedono sovranità” sarebbe “un game changer per la Bce”. Sarebbe necessario un grande scambio come quelli suggeriti in passato da Draghi: il Fiscal compact del 2011, che permise alla Bce di lanciare prestiti straordinari alle banche da un trilione di euro, o l’Unione bancaria del 2012, che convinse Draghi a promettere di fare “tutto il necessario” per salvare la moneta unica. Ma questa volta la politica non segue il presidente della Bce. Salvo voci isolate sulla condivisione di sovranità – i ministri delle Finanze di Germania e Italia, Wolfang Schäuble e Pier Carlo Padoan – l’appetito per altri balzi in termini di integrazione è scarso. La questione non sarà all’ordine del giorno del vertice europeo del 18 dicembre: il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha deciso di “rinviare al prossimo anno la pubblicazione del rapporto” sui prossimi passi per rafforzare la governance dell’euro, dice al Foglio una fonte comunitaria. Eppure, senza un Reform Compact, “la Bce potrebbe essere impotente”, ha spiegato a Bloomberg Daniel Gros, direttore del Centre for European Policy Studies: “Ci sono costrizioni politiche interne rispetto alle quali a livello Ue non possono fare nulla”. Tradotto: anche il Quantitative easing rischia di essere inutile, perché la liquidità immessa dalla Bce non arriverebbe ai paesi che non si riformano. “I progressi insufficienti nelle riforme strutturali” sono così “un rischio chiave al ribasso per le prospettive economiche”, ha detto Draghi.

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