Gerhard Schröder e Vladimir Putin

Dàgli al populista. Ma i filo Putin, in Germania, sono al governo. Vedi l'Spd

Giovanni Boggero

Ma siamo davvero sicuri che i partiti dell’estrema destra europea siano gli unici entusiasti sostenitori del tanto vituperato Vladimir Putin? A dire il vero, se prendiamo in considerazione la prima economia dell’Eurozona, la Germania, chi finora si è speso di più per mantenere buoni rapporti con Mosca è stato l’Spd.

Roma. Ma siamo davvero sicuri che i partiti dell’estrema destra europea siano gli unici entusiasti sostenitori del tanto vituperato Vladimir Putin? A dire il vero, se prendiamo in considerazione la prima economia dell’Eurozona, la Germania, chi finora si è speso di più – cioè in maniera più autorevole, anche se magari meno appariscente – per mantenere buoni rapporti con Mosca è stato l’Spd, il Partito socialdemocratico oggi alleato con i cristiano-democratici e i cristiano-sociali nella Grosse Koalition guidata da Angela Merkel.

 

Fin dallo scoppio della guerra in Ucraina nel marzo scorso, l’establishment socialdemocratico ha infatti tentato di seguire un approccio molto morbido con la Federazione russa e ha accettato malvolentieri l’imposizione di sanzioni economiche da parte della cancelliera. Questa prudenza non va semplicemente ricondotta al fatto che posizioni chiave della diplomazia, come quella di ministro degli Esteri e di inviato speciale del governo federale per i rapporti tra Berlino e Mosca, siano affidate a socialdemocratici, ma si ricollega piuttosto alla malcelata simpatia e al timore quasi reverenziale che alcuni socialdemocratici provano per la Russia. Nelle ultime settimane, esponenti di spicco dell’Spd hanno rafforzato quest’impressione.

 

Ha iniziato Matthias Platzeck, ex presidente del partito tra il 2005 e il 2006, ex governatore del Land orientale del Brandeburgo, secondo il quale “l’annessione della Crimea va regolata dal diritto internazionale in maniera sostenibile, di modo che diventi per tutti accettabile”. Platzeck, che ora è responsabile del Forum di scambio culturale russo-tedesco, ha anche proposto qualche soluzione concreta per la legalizzazione ex post dell’annessione: “Si può ipotizzare una ripetizione del referendum sotto il controllo dell’Osce da concordare tra Mosca e Kiev”. Infine, ha ricordato Platzeck, anche le regioni del Donbass, tra Donetsk e Lugansk, difficilmente potranno rientrare del tutto all’interno dello stato ucraino. “L’obiettivo è arrivare a una soluzione che non lasci Putin sconfitto sul campo – ha detto Platzeck – Senza Putin in Russia non si avrebbe certo un governo più democratico ed europeo, ma probabilmente un presidente ancora più nazionalista”. Le frasi di Platzeck hanno suscitato indignazione non soltanto tra cristiano-democratici e cristiano-sociali tedeschi, ma anche tra chi, nell’Spd, auspica invece un netto cambio di passo nei rapporti con Mosca. La cancelliera Merkel, in un discorso tenuto qualche giorno dopo al Bundestag, lo scorso 26 novembre, ne ha approfittato per ribadire la contrarietà al diritto internazionale dell’annessione della Crimea alla Federazione, mettendo così a tacere il dibattito divampato nella maggioranza.

 

[**Video_box_2**]Il discorso della cancelliera della settimana scorsa, secondo gli analisti, è stato finora il più duro verso Putin. Poi però c’è sempre il controcanto del vicecancelliere e ministro dell’Economia, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, che di recente ha messo in guardia l’occidente dall’aggravare la situazione con ulteriori sanzioni economiche contro la Russia e soprattutto con un più ampio stazionamento di truppe Nato ai confini dell’Europa orientale. Infine, la polemica a sinistra è tornata ad accendersi quando è stata diffusa la notizia che uno dei padri della socialdemocrazia tedesca contemporanea, Egon Bahr, promotore della cosiddetta “Ostpolitik”, la politica di riavvicinamento tra Germania e Unione sovietica sotto Willy Brandt, ha partecipato a un raduno di putiniani di ferro e complottisti vicini ad ambienti conservatori, tenutosi di recente a Berlino. Interrogato dalla Berliner Zeitung sull’opportunità della sua presenza, Bahr ha motivato la partecipazione con il desiderio di conoscere personalmente Vladimir Jakunin, uomo molto vicino a Putin, oltreché presidente delle ferrovie russe: “Rimango un socialdemocratico. La mia partecipazione alla conferenza rispecchia la linea del governo federale: il filo che collega Mosca a Berlino non può essere reciso”, ha detto. Ed è proprio sulla necessità di mantenere questo storico filo (a tutti gli effetti rosso) tra la Germania e la Russia che va spiegata l’odierna vicinanza dei socialdemocratici a Putin.

 

Parla il politologo Stratenschulte

 

Per il professor Eckart Stratenschulte, politologo e direttore dell’Europäische Akademie Berlin, la questione non può essere ridotta all’amicizia recente tra Gerhard Schröder e Vladimir Putin, ulteriormente cementata dalla nomina dell’ex cancelliere socialdemocratico alla presidenza del gasdotto Nord Stream del gruppo russo Gazprom. Né soltanto alla concorrenza politica proveniente dall’estrema sinistra della Linke, nella quale alcuni esponenti, tra i quali ad esempio Gregor Gysi, sono stati quadri del regime comunista della Germania orientale e oggi difendono la Russia come un tempo difendevano l’Unione sovietica. Al contrario, dice Stratenschulte al Foglio, “l’Spd è da sempre il partito della distensione. Per decenni è stata questa la cifra della sua politica estera, ossia ridurre e limitare le tensioni attraverso negoziati e compromessi. Nel 1963 Egon Bahr parlava proprio di provocare il ‘cambiamento attraverso l’avvicinamento’, ‘Wandel durch Annäherung’. In secondo luogo pesa un altro importante fattore – dice Stratenschulte – Ossia il senso di colpa collettivo dei tedeschi per i russi morti a seguito dell’aggressione nazista all’Unione sovietica durante la Seconda guerra mondiale. Questa colpa impedisce ancora oggi alla Germania  e in particolare alla socialdemocrazia di concepire il rapporto con Mosca in termini di contrapposizione”.

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