Foto AP

Tutti già scesi dal carrozzone di Putin

Daniele Raineri

La fine del progetto South Stream annunciata dal presidente russo Vladimir Putin non arriva come una sorpresa e anzi tra parecchi sospiri di sollievo. Il governo italiano si era già sganciato dal gasdotto di Gazprom, con un cambio repentino di linea politica dichiarato appena in tempo due settimane fa.

La fine del progetto South Stream annunciata dal presidente russo Vladimir Putin non arriva come una sorpresa e anzi tra parecchi sospiri di sollievo. Il governo italiano si era già sganciato dal gasdotto di Gazprom, con un cambio repentino di linea politica dichiarato (sommessamente) appena in tempo due settimane fa. L’italiana Eni, che partecipa al progetto con un forte investimento, sta andando in altre direzioni e si era messa al sicuro grazie a un contratto molto cauto con il partner russo, Gazprom – e questo ora le permette di chiudere la partita senza soffrire conseguenze. Gli accordi fissano un tetto massimo all’investimento di 600 milioni di euro e la possibilità di rivendere a Gazprom le azioni. Se si dà un’occhiata ai comunicati di Gazprom sugli incontri con Eni, South Stream e l’impegno ad andare avanti sono sempre citati fino all’ultimo: cosa che invece Eni non riportava più.

 

Alla fine di agosto il Financial Times scriveva in un titolo che South Stream più che una pipeline era una “pipe dream”, una fantasia irrealizzabile motivata da forti ragioni politiche (scavalcare l’Ucraina), senza una logica commerciale e senza un’utilità finale. “Se Bruxelles blocca il gasdotto, potrebbe fare un favore a Gazprom […] potrebbe non essere così male per la Russia se il gasdotto preferito da Putin non esistesse mai”. Chatham House, un think tank inglese, ammoniva che l’opera “sarebbe un disastro commerciale per la Russia”.

 

Eppure all’inizio di giugno il premier italiano Matteo Renzi ancora si preoccupava per la sorte di South Stream e – secondo quanto scriveva il sito EurActiv – aveva proposto ai leader di Austria, Bulgaria, Croazia, Grecia, Serbia, Slovenia e Ungheria di scrivere una lettera congiunta alla Commissione europea a sostegno del gasdotto. Pochi giorni prima, incontrando il primo ministro bulgaro Plamen Oresharski, Renzi aveva pure ribadito che South Stream era importante per “la sicurezza e l’indipendenza energetica dell’Europa”. Federica Mogherini, allora alla Farnesina, aveva  parlato pure lei di “progetto strategico”.

 

Il 20 novembre, però, la titolare del ministero dello Sviluppo economico, Federica Guidi, subito ripresa da Reuters, aveva detto: “South Stream non opera nel senso della diversificazione del fornitore. Considero più strategiche e prioritarie altre opere che comportano una diversificazione delle rotte ma anche dei fornitori”. Il riferimento era chiaramente alla Tap, la Trans-Adriatic Pipeline, il progetto per un gasdotto che passa attraverso l’Albania e permetterà l’afflusso di gas naturale proveniente dall’Azerbaigian.

 

[**Video_box_2**]Quattro giorni prima della dichiarazione del ministro Guidi sulla tramontata priorità di South Stream, Renzi ha fatto una tappa cruciale in Turkmenistan, tornando dal G20 in Australia. Il governo di Asgabat è un produttore importante di gas (entro il 2020 si calcola che provvederà al 40 per cento del fabbisogno della Cina) ed è da tempo nei pensieri dell’Italia – che ha aperto un’ambasciata lì nel dicembre 2013. Il premier è stato raggiunto nella capitale turkmena dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, che ha firmato contratti in campo energetico che valgono un miliardo di dollari. A giugno Renzi era andato in Kazakistan, altra tappa cruciale per la diversificazione dei fornitori. In dieci mesi di mandato, il premier italiano ha fatto il giro delle capitali dell’energia asiatica – prima che Putin ammettesse la fine di un progetto che non funzionava più.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)