Un guerriero del Free Syrian Army (a sinistra) e uno delle Unità per la protezione del popolo curdo (a destra) in azione a Kobane (foto AP)

Il passo di Erdogan

Redazione

La strategia americana in Siria e Iraq contro lo Stato islamico ha sempre avuto un punto debole ad Ankara. La Turchia non concede le sue basi militari per le partenze dei caccia americani, e il suo esercito non sostiene le milizie curde che per ora sono i “boots on the ground” dell’operazione americana.

La strategia americana in Siria e Iraq contro lo Stato islamico ha sempre avuto un punto debole ad Ankara. La Turchia non concede le sue basi militari per le partenze dei caccia americani, e il suo esercito non sostiene – anzi, contrasta – le milizie curde che per ora sono i “boots on the ground” dell’operazione americana. Senza l’appoggio logistico della Turchia è difficile essere efficaci contro lo Stato islamico. Ma il presidente turco Erdogan ha sempre posto come condizione per una collaborazione più organica con gli americani la testa di Assad, e a toccare il dittatore siriano, si sa, Barack Obama è sempre stato più che riluttante. La diplomazia negli ultimi tempi si è mossa molto, lo scorso mese sono stati ad Ankara sia il vicepresidente Biden sia il generale John Allen, coordinatore della coalizione internazionale contro lo Stato islamico, e ieri alcuni resoconti hanno scritto che America e Turchia sono vicine a un accordo sulla creazione di una “air exclusion zone”, in pratica una no-fly zone, su una zona cuscinetto al confine tra Siria e Turchia, gestita dall’esercito turco e con la protezione aerea di Washington, dove Ankara potrebbe addestrare i ribelli siriani anti Assad e accogliere i profughi della guerra (quelli ospitati in Turchia sono già più di un milione e mezzo). La creazione di una no-fly zone in Siria è sempre stata osteggiata dall’Amministrazione perché avrebbe significato una dichiarazione di guerra contro il regime di Assad, e la strategia è sempre stata quella di concentrarsi sul male maggiore, lo Stato islamico. Ma ora Obama sembra capire che questa tattica non è sostenibile, e che una no-fly zone, per quanto meno ampia di quella chiesta dalla Turchia, potrebbe valere la pena, se Ankara concederà l’uso della base di Incirlik, da cui ora decollano solo droni, e supporto logistico.

 

Forse l’accordo è vicino, ma la Turchia resta un alleato ambiguo. Ieri il presidente russo Vladimir Putin, sponsor internazionale di Assad, era in visita di stato ad Ankara, e ha detto che per la Siria vuole evitare una situazione simile a quella dell’Iraq. Ergo: non buttate giù il dittatore. Erdogan ha risposto con frecciate taglienti, ma a vederli insieme, lui e Putin, ieri all’Economist è venuto da ironizzare: “Trovate le differenze”.

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