Beppe Grillo

Beppe Grillo, un po' stanchino

Mario Sechi

Settimana di grandi vecchi che parlano, si salutano e se ne vanno. Poi arriva il Forrest Gump 5 stelle. L'ex comico epura mentre continua l'ascesa di Salvini e il toto nomi per il Quirinale.

Sono un po’ stanchino. Ascoltata al cinema questa frase fu epica. La pronunciava Tom Hanks nei panni di un Forrest Gump che aveva attraversato l’America a piedi, seguito da migliaia di runners-proseliti. Epica e comica. Correva l’anno 1994.
Sono un po’ stanchino. Letta su un blog nel 2014, la stessa frase, è tragica. La pronuncia Beppe Grillo nei panni di un politico italiano che voleva circondare il Palazzo e ora si ritrova la villa circondata dai suoi ex fan che protestano. Tragica e comica. Vent’anni dopo.

 

E’ venerdì 28 novembre e sul taccuino si fermano le immagini dei contorsionismi di un movimento politico dove si entra e si esce con il seggiolino eiettabile del clic e del mi piace. Esoterismi pentastellati a parte, la settimana è ancora nel segno delle Renziadi, con il premier che vince le elezioni regionali in Emilia e Calabria (lunedì 24 novembre: diventano presidenti di regione i democratici Stefano Bonaccini e Mario Oliverio), incassa il via libera della Camera al Jobs Act (Montecitorio, martedì 25 novembre: 316 sì, 6 no, uscita dall’Aula della minoranza Pd), il sì senza sanzioni della Commissione europea alla manovra economica (Bruxelles, giovedì 27 novembre, visto si stampi del presidente JeanClaude Juncker) e comincia a studiare le mosse in vista del G-Day, il giorno delle dimissioni di Giorgio Napolitano.

 

[**Video_box_2**]E’ l’agenda del Quirinale a segnare i punti chiave della sceneggiatura del Long Goodbye, il lungo addio del presidente. Il 21 novembre Napolitano va da Papa Francesco. Visita a sorpresa in Vaticano. E’ l’ultimo saluto da capo dello stato. “Intensità”, “affabilità”, parole del comunicato del Quirinale. Tre giorni dopo, il 24 novembre, ci sono un po’ di affari esteri da sbrigare. Arriva il presidente egiziano al Sisi. Strategia mediterranea. Il 25 novembre è giorno di messaggi e colloqui tra grandi vecchi. Incontro con Sergio Zavoli, doppio messaggio al Papa che parla al Parlamento europeo. Il 26 novembre è dedicato a Matteo Renzi. C’è da preparare il terreno per il soft landing delle dimissioni. L’atterraggio è morbido se le riforme sono messe al sicuro. Stringere i bulloni. Il patto del Nazareno tiene. Renzi entra e qualche ora dopo dal Quirinale esce il comunicato: “… è stato ampiamente esposto il percorso che il governo considera possibile e condivisibile con un ampio arco di forze politiche per quello che riguarda l’iter parlamentare dei due provvedimenti fondamentali già a uno stato avanzato di esame – legge elettorale e legge costituzionale per la riforma del bicameralismo paritario – i quali sono incardinati per la seconda lettura”. Ampiamente, mi raccomando. Napolitano e Renzi stanno pilotando il jet Italia verso il messaggio di fine anno.

 

Il toto Quirinale è già partito, outsider, soliti nomi e uno che cerca di tirarsi fuori per evitare bruciature, Prodi: “L’impiccio non è nel mio futuro” (mercoledì 26 novembre). E Silvio che fa? E’ anche lui a bordo del volo, in cabina di pilotaggio e non dorme sulla cloche. E’ più che vispo con Vespa martedì 25 novembre. Come tradizione durante le presentazioni dei libri “Porta a Porta”, il Cav. “investe” un successore. Salvini centravanti! E un perdono take away per Alfano e “Angelino, perché l’hai fatto?”. Taccuino pieno di note per il Foglio e centrodestra in ordine rigorosamente sparso che entra nella sua fase preferita: flipper. Va subito in tilt. Raffaele Fitto dice no, Alfano dice no, Salvini dice ni. La realtà è che Berlusconi fa politica, simula e disorienta gli aspiranti a tutto. Resta lui al comando, perché tanto “dovendo andare alla sfida elettorale mi metterò in campo come competitor”. Cribbio, lui non è mai un po’ stanchino.

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