Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il terreno della battaglia

Il piano dei congiurati per fregare Renzi sulla strada del Quirinale

Claudio Cerasa

“Un presidente che non sciolga le Camere”. Il premier contro il partito invisibile. Italicum in ostaggio. Si vota il 20 gennaio? “Aiuto, arriva Pietro Grasso!”.

Roma. La data ora c’è. Pochi giorni fa Giorgio Napolitano ha comunicato ai presidenti di Camera e Senato che il prossimo 27 gennaio, Giornata della memoria, non potrà partecipare a un’iniziativa di commemorazione delle vittime dell’Olocausto calendarizzata per quel giorno alla Camera dei deputati, e a cui il presidente della Repubblica era stato invitato mesi fa. La ragione è semplice. In quella data Napolitano immagina di essere già lontano dal Quirinale ed è anche per questo che a Palazzo Chigi proprio ieri, una volta ricevuta la notizia, hanno cerchiato di rosso una data che dovrebbe essere quella giusta per cominciare l’elezione del nuovo presidente della Repubblica: il 20 gennaio.

 

Al momento Matteo Renzi non ha ancora messo la testa in modo deciso sul dossier capo dello stato – al contrario invece di Pietro Grasso, presidente del Senato, che nei giorni di vacatio Quirinalis gestirà la transizione in prima persona; e l’eccitazione della Seconda carica dello stato (che da qualche giorno dichiara su tutto, lanciando a destra e a sinistra messaggi di grande profondità istituzionale) è pari solo alla preoccupazione che si respira in questi giorni in Parlamento, dove i senatori e i deputati ironizzano molto sulle possibili e letali ripercussioni che potrebbe avere sui mercati un eccesso di supplenza del presidente del Senato. Renzi, dunque, non ha ancora un nome in testa, semmai ha un metodo, che non dovrebbe essere diverso da quello che ha portato Paolo Gentiloni al ministero degli Esteri. Ma se c’è qualcosa che già oggi è significativo appuntare sul taccuino del Quirinale quel qualcosa riguarda chi, al contrario di Renzi, una sua tattica per provare a incastrare, e possibilmente a fottere, il presidente del Consiglio l’ha già studiata. Tutto, naturalmente, gira attorno alla legge elettorale. Renzi, come è noto, crede sia vitale per il destino della sua legislatura poter avere in mano, e il prima possibile, uno strumento come l’Italicum, attraverso il quale minacciare in qualsiasi momento il Parlamento con l’arma di fine mondo, ovvero il voto. Il presidente del Consiglio ha promesso che l’Italicum verrà approvato al Senato entro gennaio ma la promessa del Rottamatore non potrà mai essere realizzata. E per una ragione semplice. Renzi pensa di usare la legge elettorale per minacciare il Parlamento? Bene: noi non renziani pensiamo invece di utilizzare la legge elettorale per condizionare la scelta del presidente della Repubblica; e fino a che non ci sarà un nuovo capo dello stato, caro Renzi, noi faremo di tutto per rallentarne il percorso. Il ragionamento sulla legge elettorale non si può capire senza prendere in considerazione il passaggio successivo, che poi è il vero terreno sul quale si andranno a scontrare le truppe parlamentari in vista del dopo Napolitano.

 

[**Video_box_2**]Nella testa del presidente del Consiglio l’idea è quella di lavorare a un nome di un presidente della Repubblica che possa essere tanto il garante degli equilibri determinati dal patto del Nazareno (in bocca al lupo) quanto il meno ostile possibile a un’ipotesi che vive eccome nella testa del segretario del Pd, ovvero le elezioni anticipate. Difficile dire se Renzi voglia davvero andare a votare nel 2015 (a Palazzo Chigi qualcuno giura di sì). Più facile dire invece che nessuno dei “non renziani” crede allo #statesereni del premier. E per questo, a più livelli, dalla minoranza Pd a Forza Italia passando per la stragrande maggioranza dei componenti dei gruppi parlamentari, l’idea è quella di allearsi a vari strati per far sì che il nuovo capo dello stato abbia una predisposizione pressoché nulla rispetto all’ipotesi di sciogliere rapidamente le Camere. La partita dei congiurati, partita fatta più di veti che di proposte, più di scudi che di mitraglie, più di reazione che di azione, si gioca seguendo questo spartito. Tutti sono in movimento. Tutti cominciano a fare calcoli. Tutti iniziano a osservare con attenzione anche i dettagli – i numeri dei grillini in uscita e già usciti dal gruppo del 5 stelle (tra Camera e Senato si rischia di arrivare intorno alle 30 unità); il numero di grandi elettori che arriveranno da regioni controllate da presidenti del Pd non esattamente renziani (una quarantina su 58); i numeri dei nemici del Nazareno che cominciano a contarsi (occhio a Fitto e a D’Alema, “quei due si parlano molto”, confessa al Foglio il deputato del Pd Alfredo D’Attorre). Tutto è in movimento. Ma alla fine, al netto del totonomi, il grande nemico con cui dovrà fare i conti Renzi è un partito invisibile che non ha un disegno preciso ma che avrà il compito di ridimensionare Renzi e blindare la legislatura. La partita vera si gioca qui. Anche se per i congiurati un problema c’è: Renzi non è solo premier ma è anche segretario del Pd, e se un domani dovesse decidere di portare al voto il suo partito, e non dare la disponibilità per un altro governo, il nuovo presidente della Repubblica non potrebbe che prenderne atto. A meno, si intende, di congiure clamorose – diciamo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.