Facebook deve scovare i jihadisti?

Redazione

Non c’era niente che i servizi di intelligence inglesi avrebbero potuto fare per salvare il fuciliere Lee Rigby, 25 anni, ucciso a Londra nel maggio del 2013 da due militanti jihadisti inglesi di origine nigeriana. Ma dove non potevano gli 007, Mark Zuckerberg ce l’avrebbe fatta.

Roma. Non c’era niente che i servizi di intelligence inglesi avrebbero potuto fare per salvare il fuciliere Lee Rigby, 25 anni, ucciso a Londra nel maggio del 2013 da due militanti jihadisti inglesi di origine nigeriana. L’Mi5 e le altre agenzie di intelligence “non erano nella posizione di prevenire l’omicidio”, ha scritto la commissione Intelligence e Sicurezza del Parlamento inglese in un report di 200 pagine pubblicato questa settimana. Ma dove non potevano gli 007, Mark Zuckerberg ce l’avrebbe fatta. Secondo la commissione, se Facebook avesse individuato e segnalato certe conversazioni dei due terroristi, allora forse il fuciliere Rigby avrebbe potuto essere salvato. Le conclusioni del report inglese, paradossali, sono un racconto freddo del fallimento dell’antiterrorismo nel caso Rigby, ma i passaggi su Facebook (che nel documento è segnalata solo come una “internet company”) stanno creando in Inghilterra una polemica che va oltre il caso dell’assassinio del fuciliere. I social network sono diventati i custodi delle nostre vite digitali e delle nostre comunicazioni al punto che raggiungono persone che sono fuori dai radar degli 007 e vedono informazioni che anche i servizi segreti non vedono. Ma è il lavoro di Facebook scovare i terroristi?

 

Rigby fu ucciso il 22 maggio del 2013 da Michael Adebolajo e Michael Adebowale, inglesi di origine nigeriana cresciuti come cristiani ma convertiti all’islam. I due investirono Rigby con la macchina e poi tentarono di decapitarlo con dei coltelli e un machete, mentre i passanti inorriditi ancora non capivano cosa stesse succedendo. Adebolajo e Adebowale erano conosciuti ai servizi inglesi, ma l’intelligence non era mai riuscita a raccogliere prove che i due stessero pianificando un attacco. Solo un mese dopo l’attentato contro Rigby si scoprì che Adebowale aveva contattato su Facebook un militante di al Qaida in Yemen e gli aveva descritto il suo desiderio di uccidere un soldato. Facebook ha un sistema di riconoscimento automatico delle minacce terroristiche, e in precedenza aveva già chiuso cinque account di Adebowale per attività sospetta, ma quella volta non riuscì a riconoscere il pericolo tra i 12 miliardi di messaggi che gestisce ogni giorno. Se lo avesse fatto, dice la commissione inglese, forse Rigby sarebbe ancora vivo.

 

[**Video_box_2**]La polemica è scoppiata immediatamente, con la famiglia del fuciliere che parlava delle “mani sporche di sangue” di Facebook e il premier David Cameron che accusava i social network di essere un luogo dove i terroristi “pianificano omicidi e caos”. Il giorno dopo la rivelazione Cameron ha presentato una proposta di legge antiterrorismo che impone gravi obblighi alle compagnie di internet, che secondo il premier hanno una “responsabilità sociale”. In precedenza questo mese il capo del Gchq, l’agenzia di intelligence delle comunicazioni inglese, in un articolo sul Financial Times ha accusato i social network di essere “i network preferiti di comando e controllo per terroristi e criminali”, e a ottobre il capo del Fbi americano James Comey ha accusato Apple e Google di ostacolare la cattura dei terroristi perché i loro sistemi di protezione della privacy sono paradossalmente troppo sicuri. Ma le compagnie di internet sono in mezzo a un guado, perché se da un lato l’intelligence chiede loro più collaborazione, dall’altro il caso Snowden e la rivelazione dei piani di sorveglianza della Nsa (che evidentemente non sono perfetti, a giudicare dal caso Rigby) hanno reso gli utenti particolarmente sensibili alla privacy. Così rimane la domanda: è il lavoro di Facebook scovare i terroristi? Richard Barrett, l’ex capo dell’antiterrorismo dell’intelligence inglese, ha scritto sul Guardian che è ingiusto chiedere a delle compagnie private fuori dal business dell’intelligence di fare quello che i servizi non fanno – che non riescono a fare, aggiungiamo noi, per difficoltà operative e arretratezza culturale. Forse prima di accusare Facebook pensiamo al fiasco dei servizi inglesi: loro la possibilità di salvare Rigby non l’hanno mai ottenuta.