Tony Blair e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Ehi, come si rottama Obama?

Claudio Cerasa

Renzi, Blair e Clinton studiano un network internazionale a sostegno di una nuova classe politica (con una Leopolda europea). Cercasi collante per le sinistre. Cronache inedite (con spifferi) dalla cena dei Blairini.

Roma. Al di là dei contenuti di natura squisitamente tecnica registrati mercoledì sera al secondo piano di Palazzo Chigi durante la cena con Tony Blair (“Cioè, non hai capito, era veramente un figo pazzesco”; “Cioè, non hai capito, ero emozionato come quando strinsi la mano a Maradona”). E al di là dei molti dettagli di colore riportati diligentemente dall’istituto Leopolda sulla serata, “rigorosamente in inglese”, trascorsa in compagnia del ex leader dei New Labour, “dove la pizza al tavolo la serviva Matteo”. Al di là dei sorrisini e delle invidie varie scatenate dalla “cena dei Blairini” ci sono alcuni elementi importanti, e non ancora noti, che si trovano all’origine del nuovo incontro tra il primo ministro italiano e l’ex primo ministro inglese. Renzi e Blair hanno parlato di molte questioni e si sono a lungo soffermati su un tema che accomuna i destini del premier italiano e dell’ex premier inglese, ovvero il rapporto con i sindacati – con Renzi che ha usato parole irriferibili nei confronti del conservatorismo della Cgil, “il freno di questo paese”, e con Blair che ha risposto formulando un ragionamento interessante (dicendo che quando un paese cambia, capita spesso che il sindacato non sia al passo con i tempi, dicendo che il sindacato va sfidato ma poi anche conquistato e dicendo infine, concetto fondamentale, che quando si fanno le riforme è importante pensare non soltanto ai nemici di quelle riforme ma soprattutto agli amici, agli stakeholders, a chi avrà benefici da quelle riforme, perché quando si va alle urne è importante sapere contro chi sono state fatte le riforme ma ancora più importante è fare in modo che un genitore, dentro l’urna, si ricordi di come i politici hanno cambiato in meglio la vita dei propri figli). Si è parlato anche di questo.

 

Ma sindacato a parte il filo che unisce Renzi a Blair è legato a un progetto ambizioso che potremmo sintetizzare così: Blair si è detto disponibile a costruire una rete internazionale di progressisti che possa trasformarsi in uno strumento utile a far emergere anche in Europa un network formato da leader innovativi che hanno saputo rielaborare nei rispettivi paesi la dottrina della Terza via. L’idea, per capirci, è quella di strutturare una sorta di Leopolda su scala europea (non una fondazione ma qualcosa di simile). E il dato significativo è che l’ex primo ministro inglese sarebbe a tal punto disposto a concedere a Renzi il brand del blairismo da aver immaginato un’organizzazione così concepita: con Blair padre nobile, con Bill Clinton, e Renzi, di fatto, pivot politico europeo. L’operazione è in corso d’opera, al momento è ancora in fase di elaborazione, il pallino dell’iniziativa è operativamente nelle mani di Filippo Sensi, portavoce e spin doctor di Renzi, e di Peter Mandelson, ex guru del blairismo e oggi alla guida del think tank Policy Network, e lo spirito con cui i renziani di oggi provano a dare forma al nuovo pensiero progressista è presto spiegato. I numeri eccezionali con cui Renzi si è presentato lo scorso 25 maggio in Europa non sono sufficienti per dare ai socialisti la forza necessaria per far cambiare verso alle politiche economiche comunitarie.

 

[**Video_box_2**]Il Pd è forte, è il partito più votato d’Europa, ha eletto il maggior numero di europarlamentari del Pse, è l’unico partito di governo ad aver guadagnato punti rispetto alle elezioni precedenti, è considerato un modello dai colleghi spagnoli e dai colleghi francesi, è ben visto persino dai colleghi tedeschi (ieri il ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, Spd, ha elogiato il riformismo del governo Renzi, anche se in realtà, pettegolezzo da Bruxelles, Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, Spd, non ama Renzi e lo considera un piccolo kapò). Ma nonostante questo, nella dialettica europea c’è ancora qualcosa che non gira per il verso giusto e che non permette a Renzi di dire con il massimo della credibilità che l’Europa ha rottamato l’età dell’austerità. Qualcosa che non dipende solo dal fatto (politico) che i socialisti in Europa sono in minoranza (8 governi su 28) ma dipende soprattutto dal fatto (culturale) che in Europa i nuovi volti del progressismo si muovono in ordine sparso, senza un’identità definita o un collante che sia diverso dalla semplice parola anti. Anti rigore. Anti austerità. Anti tecnocrazia. Anti burocrazia. Anti conservatorismo. La nascita di una Leopolda europea (da legare a una possibile ascesa americana della nuova èra clintoniana, nel senso di Hillary) può essere intesa in questo modo: preparare una dottrina egemonica capace di indirizzare verso un moderno percorso di crescita le sinistre mondiali, di interpretare l’idea che lo stato moderno non debba essere solo figlio delle politiche di spesa, insomma in grado di superare il trauma dell’obamismo, che culturalmente parlando ha prodotto poco più di un generico “wind of change”. Rottamare Obama, dunque. Riscoprire Clinton. Imboccare una direzione diversa dal vecchio spendaccionismo socialista europeo. Missione complicata. Forse impossibile. Ma il futuro della sinistra europea, in un certo senso, oggi passa anche da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.