Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker (foto AP)

Piano Ue, un po' nano ma si muove

David Carretta

Pochi soldi freschi, ma molte buone intenzioni. Comunque una leva, come ha detto Juncker, per incrementare investimenti. I piani sono delineati e i quattrini non dovrebbero premiare solo i tedeschi.

Strasburgo. Non sarà una riedizione per il XXI secolo di quello che fu il New Deal di Franklin Delano Roosevelt per gli Stati Uniti post 1929, ma il Piano di investimenti presentato ieri dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, potrà comunque dare un contributo all’economia reale. L’obiettivo dichiarato è quello di sbloccare gli investimenti privati nei paesi messi in ginocchio dalla crisi, nel momento in cui l’avversione al rischio spinge gli investitori a tenere il loro denaro sotto il materasso (i Bund tedeschi hanno rendimenti reali negativi), malgrado i miliardi di liquidità generati dalla Banca centrale europea. Per farlo, il lussemburghese Juncker ieri ha annunciato la creazione di un Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) che si assumerà i rischi maggiori dei progetti e, grazie a una doppia leva finanziaria, dovrebbe catalizzare 315 miliardi di investimenti privati. Il trucco è il seguente: creare una sorta di cuscinetto che permetterà alla Banca europea per gli investimenti (Bei) di finanziare progetti più rischiosi di quelli attuali, senza perdere il rating della tripla A.

 

Il meccanismo è complesso, ma in base all’esperienza può funzionare. Con 16 miliardi di garanzie provenienti dal bilancio comunitario e 5 miliardi di capitale forniti dalla Bei, il Fondo Feis dovrebbe consentire alla Bei di raccogliere sui mercati circa 60 miliardi, da utilizzare per finanziare progetti che, con la partecipazione dei privati, ammonterebbero a 315 miliardi in un arco di tre anni. “Il denaro non cadrà dal cielo. Non abbiamo una macchina per stampare contante”, ha detto Juncker, rivendicando un approccio pragmatico e realista. “Con debito pubblico al 90 per cento e la spesa pubblica che già rappresenta il 50 per cento del pil, abbiamo bisogno di un uso intelligente del denaro pubblico per sbloccare investimenti”, ha detto il presidente della Commissione Ue, illustrando la “vision” dei progetti che ha in mente: computer nelle scuole di Salonicco, colonnine per alimentare le auto elettriche in tutta Europa, interconnessioni energetiche, mezzi di trasporto moderni per decongestionare il traffico, nuovi impianti di riciclaggio e purificazione dell’acqua, banda larga, e molto altro. E’ necessario “investire sulla gente”, ha detto Juncker: “E’ questa l’economia sociale di mercato”. Più concretamente 240 miliardi dovrebbero andare agli investimenti di lungo periodo, 75 miliardi alle piccole e medie imprese. Per incoraggiare la partecipazione dei privati, il Fondo acquisterà azioni e obbligazioni, assumendosi il rischio della prima tranche di perdite dei progetti.

 

Le critiche non mancano, dato che Juncker ha un piano ma non ancora i 315 miliardi. Anche per questo ieri il presidente della Commissione ha fatto appello alla generosità degli stati per rimpinguare il tesoretto di partenza di 21 miliardi: “Ritengo che molti governi, soprattutto quelli che hanno margini di manovra supplementari saranno presenti all’appuntamento”, ha detto riferendosi alla Germania. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha replicato che occorre chiarire “quali saranno le implicazioni per il Patto di stabilità sui bilanci nazionali” (detto altrimenti: il contributo di uno stato al Feis sarà conteggiato nel deficit ai fini del rispetto di Maastricht?) e “i criteri di riallocazione di queste risorse”. Quanto alla prima domanda, i responsabili di Bruxelles rassicurano che il Patto sarà “neutrale” ai fini del Patto di stabilità. A proposito dei criteri di “riallocazione”, secondo il Financial Times di ieri, “la Commissione sta prendendo misure per assicurare che i soldi mobilitati non finiscano semplicemente in progetti infrastrutturali tedeschi ma siano usati dove più necessario”.

 

[**Video_box_2**]Certo è che, a differenza di quanto alcuni politici avevano lasciato intendere, non ci saranno troppi “soldi freschi” per finanziare investimenti con risorse pubbliche, ma solo soldi riciclati da altre poste del bilancio comunitario e dalla Banca europea per gli investimenti (Bei). La struttura finanziaria, distanziandosi in questo dall’evocato New Deal rooseveltiano, è concepita piuttosto per incentivare i privati a investire.

 

Altri scettici sottolineano che già in passato – nel 2008 e nel 2012 – l’Ue lanciò grandi programmi da centinaia di miliardi sollevando enormi attese senza produrre risultati significativi. Il piano Juncker “va fatto in fretta”, ha detto Padoan: “Le aspettative dei cittadini europei sono crescenti, ma il rischio di delusione è anch’esso crescente”. Più in generale l’assenza di risorse pubbliche delude la sinistra europea. Il ministro dell’Economia francese, Emmanuel Macron, avrebbe voluto dai 60 agli 80 miliardi di “soldi reali”. Moltiplicare per 15 la leva finanziaria solleva interrogativi tra gli analisti. Poi i Verdi e l’associazione delle banche tedesche denunciano il rischio di socializzare le perdite, visto che il Fondo servirà da cuscinetto per la Bei, assorbendo i rischi in caso di fallimento. Ma le polemiche sulla struttura e le risorse del Piano rischiano di oscurare il suo pilastro più importante: la necessità di “migliorare il clima degli investimenti”. Senza riforme strutturali nei mercati del lavoro e dei servizi, senza un completamento del mercato unico, è probabile che gli investimenti privati continueranno a stentare. La prova empirica, dice al Foglio il presidente della Bei, Werner Hoyer, è l’Italia del sud: “Quando la Bei venne fondata negli anni Cinquanta con l’obiettivo di livellare le differenze di sviluppo delle regioni europee, il mezzogiorno era la nostra maggiore preoccupazione. Oggi la nostra maggiore preoccupazione rimane il mezzogiorno”.