Papa Francesco (foto LaPresse)

Francesco va in città

La nuova pastorale: “Non siamo più nella cristianità”

Matteo Matzuzzi

“Una vera trasformazione ecclesiale. Tutto pensato in chiave di missione. Un cambio di mentalità pastorale”. E’ la richiesta avanzata stamattina dal Papa, dinanzi ai partecipanti del Congresso internazionale sulla pastorale delle grandi città.

Roma. “Una vera trasformazione ecclesiale. Tutto pensato in chiave di missione. Un cambio di mentalità pastorale”. E’ la richiesta avanzata stamattina dal Papa, dinanzi ai partecipanti del Congresso internazionale sulla pastorale delle grandi città. Il suo intervento, lungo e non formale – “vorrei essere un po’ spontaneo e non ho avuto tempo di fare un discorso formale” – ricorda in più punti quanto da lui detto lo scorso anno ai vescovi del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) durante la Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro: “E’ giunto il momento di porci degli interrogativi, di fare un esame di coscienza: siamo più pastori o burocrati?”. Su questa linea, Francesco oggi ha delineato il modello di chiesa che chiede sia attuato a tutte le latitudini del globo. Una rivoluzione, dice, che deve partire da un presupposto fondamentale: “Veniamo da una pratica pastorale secolare in cui la chiesa era l’unico referente della cultura. E’ vero, è la nostra eredità. Come autentica maestra essa ha sentito la responsabilità di delineare e di imporre non solo le forme culturali, ma anche i valori, e più profondamente di tracciare l’immaginario personale collettivo”. Ma quell’epoca, ha osservato il Papa, “è passata. Non siamo più nella cristianità”, dal momento che “non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati”. Ciò non significa, ha aggiunto, che si debba attuare una “comoda pastorale relativista”, vale a dire una pastorale “che per voler essere presente nella cucina culturale perda l’orizzonte evangelico, lasciando l’uomo affidato a se stesso ed emancipato dalla mano di Dio”. Mica è pastorale, questa, ha sottolineato il Pontefice: “Chi fa così non ha vero interesse per l’uomo, ma lo lascia in balìa di due pericoli ugualmente gravi: gli nascondono Gesù e la verità sull’uomo stesso”. Ecco perché “occorre avere il coraggio di fare una pastorale evangelizzatrice audace e senza timori”, senza provare “vergogna a esporsi”.

 

Bergoglio ha voluto poi riprendere il tema della multipolarità, toccato durante il discorso pronunciato martedì al Consiglio d’Europa. “Anche le grandi città sono multipolari e multiculturali”, ha osservato il Papa, aggiungendo che “dobbiamo dialogare con questa realtà, senza paura”. Il modo lo delinea subito dopo, quando osserva che “si tratta di acquisire un dialogo pastorale senza relativismi, che non negozia la propria identità cristiana, ma che vuole raggiungere il cuore dell’altro, degli altri diversi da noi, e lì seminare il Vangelo”. Chiede ai preti, il Papa, di buttare un occhio al popolo, a scavare in profondità, perché è lì che spesso si cela nascosto “l’autentico substrato religioso, che in molti casi è cristiano e cattolico”. Certo, non sempre, perché ci sono “religiosità non cristiane”. Ma occorre, a ogni modo, “andare lì, al nucleo”. Per il dialogo evangelizzatore, proprio della chiesa missionaria da lui delineata, “è necessaria la coscienza della propria identità cristiana e anche l’empatia con l’altra persona”.

 

[**Video_box_2**]Quell’empatia che serve “per trovare nella religiosità questo substrato”. Francesco non si ferma alla teoria, e passa a elencare “le proposte” per rendere operativo il piano della svolta ecclesiale. Prima parola d’ordine è l’uscita: “Uscire per incontrarsi, per ascoltare, per benedire, per camminare con la gente. E per facilitare l’incontro con il Signore”. Il che si traduce nella piena accessibilità al sacramento del battesimo, nel tenere le chiese aperte e nel predisporre catechesi adatte nei contenuti e negli orari della città. Inoltre, tema caro all’ex arcivescovo di Buenos Aires, far sì che le segreterie parrocchiali abbiano orari compatibili con le persone che lavorano. Quindi, l’auspicio che si lavori per “continuare ad approfondire quei cambiamenti necessari nelle nostre varie catechesi, affinché i contenuti siano meglio compresi”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.