Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble (foto AP)

Il poker europeo

Enrico Nuzzo

Il ministro delle  Finanze  tedesco, Wolfgang Schäuble, si è rivolto ai leader dell’Unione europea invocando una revisione dei trattati e auspicando che la Commissione Ue rafforzi la governance economica per una miglior difesa e tutela dell’euro.

Il ministro delle  Finanze  tedesco, Wolfgang Schäuble, si è rivolto ai leader dell’Unione europea invocando una revisione dei trattati e auspicando che la Commissione Ue rafforzi la governance economica per una miglior difesa e tutela dell’euro. La Germania rilancia così di fatto la linea del rigore, anche se le principali organizzazioni internazionali segnalano il rischio stagnazione dell’Eurozona e la Banca centrale europea ne conferma le indicazioni negative. Anche se l’Italia otterrà nelle prossime il primo via libera formale da Bruxelles per la sua legge di stabilità, rimarrà dunque complicato sganciarsi da provvedimenti di austerità a causa dei vincoli nascenti dal Patto di stabilità e di crescita.

 

Berlino non può insistere nel  pretendere rigore e rispetto delle regole sui bilanci pubblici, cinicamente segnalando al riguardo come “errore” la passata tolleranza nei suoi confronti. L’Ue non può continuare a farsi vestale di siffatti desiderata. La politica economica dell’Unione, incentrata su logiche rigide dei bilanci degli stati aderenti, com’è strutturata, non consente ai governi nazionali appropriati spazi di flessibilità e/o deroghe, per aggredire la crisi e stimolare processi di crescita. Continuare a restare invischiati nella trappola del rigore non ha senso. Ineludibile, perciò, cambiare le regole del gioco, ridefinendo il loro contesto e le stesse scelte dei Trattati in un senso, però, diverso da quello auspicato dai tedeschi. Allo stesso tempo, va sollecitata la Bce a immettere liquidità nel sistema, da dirottare su imprese e famiglie. L’osservanza degli attuali parametri europei, misurata sulla base del deficit di  bilancio e del livello del debito pubblico dei singoli stati, in una realtà – come quella italiana – afflitta proprio da indebitamento eccessivo e saldi di bilancio continuamente a rischio, rende proibitivo ogni intervento per invertire il trend economico. D’altronde preoccuparsi ancora del come e del modo ci si può allineare, con ulteriori sforzi, ai parametri dell’Unione, finisce col tradursi in una condanna alla loro perpetua, e sempre più affannosa, rincorsa.

 

Il paese non può essere bersaglio di meccaniche logiche di rigore, foriere di sacrifici che, come le teste dell’Idra, hanno la proprietà di autorigenerarsi. E’ del tutto irrazionale, perciò, la religiosa osservanza, sempre più cieca, delle percentuali del deficit, del rapporto debito pubblico/pil, elevati al rango di regolatori dei destini di vaste regioni d’Europa, senza riferimenti alle condizioni delle specifiche realtà. Siffatte percentuali e rapporti non sono stati nemmeno idonei a perseguire l’obiettivo, per il quale vennero adottati, di rendere possibile l’autofinanziamento sul mercato dei singoli paesi dell’Eurozona, tant’è che la Bce è dovuta intervenire, con massicci acquisti di titoli di debito dei singoli stati, in soccorso, appunto, dei cosiddetti “debiti sovrani”. La regolazione delle economie di detti paesi con quei parametri può continuare a sussistere, a dispetto dell’evidenza e del buon senso, solo perché la loro ragion d’essere prescinde dalle conseguenze alle quali danno luogo e trova fortuna nell’arcana ma dominante virtù delle formule applicate per definizione, indipendentemente dalla loro bontà e aderenza alla sostanza delle cose.

 

 

[**Video_box_2**]In nessuna Aula parlamentare, e/o centro di decisioni politiche europea o nazionale, si è avuto l’accortezza di denunciare, per tempo, che esigenze di revisione e verifica s’impongono soprattutto per quei parametri (e non solo per i bilanci degli stati dell’Unione) avviando, per essi, un percorso di rimeditazione e ripensamento. E’ il momento di agire, indipendentemente dai tempi, non brevi, del loro sensato riesame e di una loro condivisa rimodulazione, con più sapienti regole, nelle sedi competenti.
Imperativo agganciare, quanto prima, la ripresa e non ricordarsi di essa solo a determinate cadenze (legge di stabilità, aggiornamento dei dati sul ciclo economico, eccetera). In questa logica, giova alla causa la figura retorica della ripetizione, arma efficace contro l’errore. L’errore consiste e si definisce proprio intorno a tutto quanto pretende di continuare a imporre in sede Ue l’adeguamento ottuso a quei parametri. E tanto a prescindere dalle conseguenze per l’economia dell’Eurozona, l’aggravarsi della quale rende sempre più problematico invertire la tendenza, perché  accentua,  ancor di più, la caduta dei consumi, dell’occupazione e, soprattutto, della fiducia del mondo del lavoro.

 

Ma avanzi la bonifica della spesa pubblica

 

Necessario uno choc: è tempo di osare. Con la timidezza, la preoccupazione di quel che si pensa o dice altrove, non si farà mai nulla di nuovo e nemmeno si  concluderà niente di buono. Inevitabile, perciò, la sfida a raccomandazioni e sanzioni dell’Ue se, nel contempo – ed è anche in questo l’utilità della ripetizione! – si varano stimoli per l’economia e si  comincia a bonificare energicamente sul versante degli sprechi e della spesa improduttiva. Bonifica che è indizio della volontà di fare sul serio e precondizione ineliminabile di ogni  programma di crescita credibile, imperniato su scelte idonee a un altro choc, stavolta sul sistema produttivo. In siffatta logica: interventi robusti con ricadute immediate (programmi di edilizia sociale e/o di recupero del patrimonio storico – culturale pubblico e privato, messa in sicurezza del territorio, etc.) e di più lungo respiro (ricerca di base, in connessione con settori produttivi strategici), combinati a  riduzione qualificata della pressione fiscale e a ogni altra azione – versante della giustizia compreso! – utile a stimolare quel ritorno di fiducia nel mondo delle imprese, linfa vitale della crescita.

 

L’Italia, paese fondatore dell’Unione europea e una delle economie più importanti del continente, non può e non dev’esser sotto scacco di tecnocrati e dirigisti, del tutto incuranti del crescente malessere delle popolazioni dell’area e che, con la loro azione, non agevolano di certo il processo di integrazione politica alla quale l’Europa deve tendere. Altre importanti realtà, come la Francia, vivono al momento difficoltà almeno pari a quelle nostrane. In siffatto contesto, non è facile per nessuno fare il viso delle armi a governi decisi ad aver finalmente ragione delle avversità dell’economia, svincolandosi dai lacci e dai lacciuoli che gli attuali parametri dell’Ue continuano a disseminare lungo il sentiero della crescita.

 

Enrico Nuzzo è Tributarista, Ordinario di Diritto tributario all’Università Federico II di Napoli

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