I colloqui sul nucleare a Vienna (foto LaPresse)

Il tempo è uranio

Paola Peduzzi

Tutto come previsto: nessun accordo sul nucleare iraniano. Appuntamento a marzo (o luglio). Per Rohani l’arricchimento dell’uranio ci sarà.

Milano. L’accordo sul nucleare iraniano, che impegna la diplomazia internazionale da mesi (da dodici anni), non è stato trovato entro la deadline di ieri: gli sherpa del 5+1 e dell’Iran si sono dati tempo fino al primo marzo del 2015 per fissare un accordo di massima, con la possibilità di discutere gli aspetti più tecnici entro il primo luglio. “Sono stati fatti progressi significativi – ha detto il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond, quando è apparso chiaro che più di qualche frase di circostanza il consesso diplomatico non sarebbe riuscito a fornire ai tanti giornalisti che nell’ultima settimana si sono sistemati di fronte al Coburg Hotel di Vienna, in piazza Theodor Herzl, padre del sionismo moderno (l’ironia su questo dettaglio la lasciamo a voi) – Non possiamo fermarci adesso. Stiamo iniziando a comprenderci l’un l’altro”, ha concluso il ministro. Servono ancora almeno tre mesi di tempo (ma saranno sette) per arrivare a un deal onnicomprensivo: al momento resta in forze quello che era stato deciso a Ginevra nel novembre del 2013, il cosiddetto “accordo ad interim” su cui si fondano le attuali relazioni con la Repubblica islamica d’Iran. Hammond ha fatto sapere che Teheran continuerà a ricevere circa 700 milioni di dollari al mese in ricavi da petrolio finora congelati per via delle sanzioni esistenti, mentre la leadership iraniana si impegnerà a lasciare inattive le centrifughe esistenti (e non ne metterà in funzione altre). Ma come ha scritto domenica il New York Times, la issue più problematica è il cosiddetto “sneakout” dell’Iran, cioè  il rischio che Teheran continui a produrre segretamente materiale atomico.

 

Il punto di disaccordo cruciale è tutto qui: quanta capacità di generare combustibile nucleare sarà lasciata all’Iran e quanto velocemente le sanzioni saranno riviste e sospese. Ma nell’accordo non soltanto ci devono essere i dettagli sulle centrifughe, l’uranio e il plutonio, ma soprattutto deve essere garantita la possibilità per l’intelligence occidentale di scoprire se Teheran continua, nonostante le promesse, le sue operazioni clandestine di fabbricazione della Bomba in qualche sito nascosto sotto terra o tra le montagne (Fordo e Parchin insegnano), con l’aiuto di alleati come la Corea del nord. Per avere qualche certezza ed evitare lo “sneakout” già verificatosi negli anni scorsi, il Congresso americano, ben più falco sulla questione rispetto alla Casa Bianca di Barack Obama, dice che è necessario intanto sapere qual è la capacità attuale dell’Iran: le visite di cortesia degli ispettori onusiani autorizzate con fare magnanimo dalla leadership di Teheran non sono in questo senso sufficienti.

 

[**Video_box_2**]E’ necessario andare più nel profondo e secondo molti esperti l’unica via da seguire è quella del controllo degli ingegneri e scienziati dell’Iran: se avete visto la recente serie tv “The Americans” sulle spie russe in America durante la Guerra fredda, avrete la memoria fresca su come funziona lo spionaggio attraverso gli scienziati, anche se l’Urss s’è dissolta, e vi sarà chiaro quanto sia complicata e pericolosa questa strategia. “Si continuerà a giocare a nascondino” è la sintesi di una fonte europea che ha seguito i colloqui dell’ultimo anno, ed è la versione diplomatica di quel che sostiene il premier israeliano, Benjamin Netanyahu: “L’accordo giusto è quello che distrugge tutta la capacità iraniana di costruire bombe atomiche”. Non è su questo che si sta lavorando, lo stesso presidente irianiano, Hassan Rohani, ieri sera ha detto che un accordo si troverà, perché l’occidente non ha alternative se non dialogare con l’Iran e ha detto che ci sarà “l’arricchimento sul suolo iraniano”, e che le sanzioni saranno tolte. E c’è chi dice che Teheran è pronta a silurare il suo affabile ministro degli Esteri, Javad Zarif.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi