Obama con un gruppo rock messicano durante un comizio rivolto alla comunità ispanica di Las Vegas (foto AP)

Il presidente dei decreti

Sull'immigrazione Obama frantuma il fronte del Gop. Hillary ringrazia

L’establishment di destra contiene gli intransigenti per non perdere contatto con l’elettorato ispanico.

New York. L’ordine esecutivo sull’immigrazione introdotto da Barack Obama dà a quasi cinque milioni di immigrati clandestini la possibilità di rimanere legalmente negli Stati Uniti e ottenere un permesso di lavoro. Il decreto presidenziale vale per gli immigrati che hanno figli con il passaporto americano, hanno trascorso nel paese più di cinque anni e non hanno reati gravi a carico: poco meno della metà dei clandestini totali nel territorio americano risponde a queste caratteristiche. Non si tratta di una sanatoria: il permesso è di natura temporanea, non dà accesso ai benefit sanitari né mette i clandestini regolarizzati sulla strada che porta alla cittadinanza. Obama dice che un rimpatrio di massa dei clandestini è contrario agli ideali dell’America, oltre che impossibile da realizzare praticamente, e non è facile per gli avversari repubblicani opporre ragioni che non abbiano a che vedere soltanto con il metodo dell’operazione. Con qualche imbarazzo Jeb Bush, potenziale candidato alla Casa Bianca e avvocato di una riforma “compassionevole” dell’immigrazione, si ritrova a dire che “il Congresso dovrebbe guidare un processo di riforma”, non il presidente. Lo speaker della Camera, John Boehner, tocca tasti simili (“il presidente ha deciso di sabotare le possibilità di una riforma bipartisan al Congresso”) e l’intero mondo conservatore produce variazioni sul tema degli eccessi esecutivi di un presidente che si crede imperatore. Sul merito del provvedimento si naviga più cauti, e la cautela ha a che fare anche con il complicato rituale di corteggiamento dell’elettorato ispanico. L’ordine esecutivo di Obama non elargisce il diritto di voto ai clandestini regolarizzati, ma certo guadagna simpatie presso la popolazione dei latinos che già tende naturalmente a sinistra. Con il suo solito tono urticante, la deputata Michele Bachmann dice che Obama sta introducendo altri elettori “analfabeti” nella base elettorale e nella dichiarazione si intravedono, al di là dell’ovvio gioco delle parti, tutti i timori repubblicani di perdere una fetta d’America senza la quale riconquistare la Casa Bianca è molto più difficile.

 

Il Gop deve superare in qualche modo l’immagine del partito vecchio, bianco e ricco che si è cucita addosso negli ultimi anni, e questo pensiero è il motivo della cautela dei leader conservatori del Congresso, che dopo l’annuncio presidenziale di giovedì sera non hanno mosso guerra con la solita formazione a testuggine. Il New York Times spiega che ai piani alti del partito non è dispaciuto che il decreto sia arrivato la settimana prima del Ringraziamento, quando molti parlamentari avevano già lasciato Washington e non potevano andare nei salotti televisivi a prodursi in tirate antiobamiane a piena voce. Il collegamento tende sempre a mitigare. “Se abbiamo una reazione eccessiva il problema diventiamo noi, non Obama”, dice il senatore Lindsey Graham, che in politica estera è il più rapace tra i falchi repubblicani, ma sull’immigrazione tiene una linea di compromesso e tempo fa ha presentato un disegno di legge bipartisan che non ha passato il vaglio della Camera.

 

[**Video_box_2**]La linea intransigente di una corrente del partito rischia di dare effetti controproducenti per il movimento conservatore in cerca di un nuovo inizio. Sull’immigrazione il combattente più pugnace è il deputato Steve King, che in questi giorni è finito spesso in conflitto non soltanto con gli avversari ma anche con gli alleati, che lo accusano di alienare un elettorato che invece andrebbe avvicinato con intelligenza e circospezione. E’ questa la linea di Jeb Bush e degli aperturisti in fatto di frontiere e permessi di soggiorno. “Obama recupererà il terreno perduto nella comunità ispanica per sé e per i democratici”, dice Frank Sherry, direttore del gruppo pro immigrazione America’s Voice. Obama non ha altre elezioni davanti a sé ma la contesa per il voto degli immigrati è un fatto transgenerazionale, e non è un caso che la candidata inevitabile Hillary Clinton abbia violato l’autoimposta regola di non commentare gli eventi di immediata attualità politica proprio in occasione del decreto sull’immigrazione. Se sarà la candidata democratica per la Casa Bianca nel 2016 potrà raccogliere per prima i frutti di un’iniziativa presidenziale che si presenta anche come il grande riscatto dall’inconcludenza del Congresso. Dall’altra parte ci potrebbe essere un avversario altrettanto aperto sul tema degli immigrati e attento alle esigenze di rinnovamento dell’elettorato conservatore; prima, però, dovrà mettere in minoranza le voci più dure del suo partito.

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