La bambola Lammily

La bambola con l'acne e Barilla gay friendly, i trionfi del politicamente corretto

Redazione

“La mia bambola ha più brufoli della tua”: “Sì, ma la mia ha le smagliature”: si immagina così, tra breve, il giocoso dipanarsi delle conversazioni tra le piccine più emancipate. Emancipate dalla bieca logica sessista della bellezza fisica, si intende, grazie all’anti Barbie concepita dal designer americano Nickolay Lamm.

Roma. “La mia bambola ha più brufoli della tua”: “Sì, ma la mia ha le smagliature”: si immagina così, tra breve, il giocoso dipanarsi delle conversazioni tra le piccine più emancipate. Emancipate dalla bieca logica sessista della bellezza fisica, si intende, grazie all’anti Barbie (l’ennesima) concepita dal designer americano Nickolay Lamm. La bambola Lammily, così chiamata in omaggio al suo creatore, appare meno slanciata dell’originale, ma quello che davvero conta è il suo corredo. Di vestiti? Ma no, che banalità: di difetti. In forma di adesivi, potranno esserle applicati secondo l’estro delle piccole proprietarie non solo acne e smagliature ma anche cellulite, cicatrici, macchie cutanee, lividi e ponfi. Perfino il sito Slate, non propriamente lontano dal culto del politicamente corretto, si chiede se l’invito a superare il falso mito della perfezione non corra il rischio di trasformarsi in involontaria scuola di sadismo preadolescenziale, con gare efferate a chi deturpa di più la propria Lammily. E poi, davvero si può ragionevolmente credere che una undicenne che non si piace nella propria pelle “si sentirà confortata da una Lammily piena di brufoli?”, al punto da trovare irresistibilmente “cool” – su di sé, non solo sulla bambola – perfino l’acne? 

 

Domande oziose, d’accordo. Ma dopo che abbiamo assistito impotenti perfino alla riscrittura delle favole, con il lupo trasformato nel miglior amico di Cappuccetto Rosso e la strega non più cattiva (in quanto donna) nella più cara confidente della Bella addormentata, che volete che possa aggiungere una Lammily brufolosa in più o in meno? Un po’ di colpevolizzazione e di vergogna, se nel profondo del cuore – e senza confessarlo a nessuno – si preferirebbe la pelle liscia invece che butterata?

 

Ma se forse fallirà con le ragazzine – non ci sentiamo di prevedere un gran futuro per la Lammily – il gran campo di rieducazione al p. c. si dimostra ogni giorno più efficace con gli adulti. Abbiamo appena assistito alla gogna stellare del fisico inglese Matt Taylor. L’uomo che  per primo ha portato una sonda spaziale su una cometa ma che, purtroppo, lo ha raccontato in diretta tv indossando la camicia sbagliata (stampata a pin-up colorate) ed è stato trattato come un seviziatore seriale di femmine. Dopo le sue patetiche scuse bagnate di lacrime, c’è ora un altro importante trofeo di cui andar fieri, nel meraviglioso mondo del politically correct. Stiamo parlando del conferimento alla Barilla del massimo punteggio – cento punti su cento – da parte del Corporate Equality Index, che premia le aziende Lgbt friendly.

 

[**Video_box_2**]Dopo le famose dichiarazioni del presidente, Guido Barilla, che alla “Zanzara” su Radio 24, nel settembre del 2013, aveva spiegato di non voler rappresentare nella pubblicità famiglie omosessuali (“non per mancanza di rispetto ma perché non la penso come loro; la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale”), la Barilla era stata oggetto di inviti globali al boicottaggio da parte del mondo degli attivisti Lgbt. Seguì un penoso video di scuse, in perfetto stile “seduta di autocritica maoista”, poi la svolta e il riscatto. Se ne è occupato personalmente il lobbista David Mixner, definito da Newsweek “il gay più potente d’America”. In meno di un anno, come ha raccontato Sandhya Somashekhar sul Washington Post, la Barilla ha  incrementato “i benefit sanitari per i dipendenti transgender e le loro famiglie, ha devoluto fondi alle cause dei diritti gay e ha inserito una coppia di lesbiche nel sito web promozionale”. Le aziende, constata  Sandhya Somashekhar, “sono costrette a schierarsi nella battaglia culturale sui diritti degli omosessuali e il matrimonio tra persone dello stesso sesso”.
Passati da “paria a testimonial dei diritti gay”, insomma, la Barilla e il suo presidente possono stare tranquilli. Noi, meno.

 

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