Giapponesi a Viale Mazzini

Zitta zitta s'avanza l'idea di un decreto sbullona-Rai

Marianna Rizzini

La tragicommedia del cda vs il Tesoro sugli 80 euri, le tre vie d’uscita. Che fare della televisione pubblica italiana?

Roma. Che fare della Rai, ci si chiede, ora che in Rai è successo il patatrac, con il cda che a maggioranza vota perché l’azienda presenti ricorso contro il suo azionista (il Tesoro) sul prelievo forzoso dei 150 milioni di euro di canone in regime di spending review (per destinarli al capitolo “80 euro in busta paga”). Che fare della Rai, ci si chiede sempre più insistentemente nell’area del governo (oltreché nel Pd e in alcuni settori del centrodestra), all’indomani del voto in cda e delle dimissioni di Luisa Todini, consigliera scelta in zona centrodestra ma nominata presidente di Poste dal governo Renzi. E le strade, al momento, sembrano tre: reagire non reagendo, lasciando cioè andare alla deriva il cda fino a scadenza naturale (primavera 2015); reagire con una legge che avvii la riforma della governance (difficile da far approvare velocemente) oppure reagire con inevitabili modi bulli da premier bullo, vista la gravità della situazione, magari presentando un decreto legge che, sulla scia della sempre attesa e mediaticamente vincente riforma del canone (da agganciare alla bolletta), faciliti lo snellimento del cda (meno consiglieri) e crei un ponte verso una riforma dei criteri di nomina. Non sarebbe la suddetta riforma della governance di cui si parla da anni in tutti i partiti (impossibile da fare per decreto), ma di un primo passo energico, di un segnale. E ora c’è l’occasione. Paradosso ha voluto, tra l’altro, che votasse per presentare ricorso contro l’azione governativa anche il rappresentante del Tesoro Marco Pinto, nominato in tempi montiani tra i fedeli del “mandarino” Vincenzo Fortunato, e ora, dopo i mesi lettiani e quelli renziani, esponente della quota “funzionari-ultimi giapponesi da guerriglia”, come dice scherzando un osservatore. E ieri il deputato pd Michele Anzaldi, anche segretario in commissione di Vigilanza, ha chiesto a Matteo Renzi, in qualità di segretario pd oltre che di premier, una riunione per definire “le proposte sul futuro della Rai”.

 

Eppure del futuro della Rai, con indolenza, ma anche con costanza, si parlava da sei mesi, cioè dall’estate in cui la tv pubblica (altro che Cgil) si era rinserrata nel ruolo di roccaforte della resistenza anti Renzi. “Sbullonare” la Rai con l’azione bulla (del premier), si diceva già allora nel Pd e in alcune parti nel centrodestra. E dunque spazzare via immobilismi e presenza invasiva dei partiti (ma pure gli sprechi), rendere più agile il cda, inserire al vertice la figura dell’“amministratore delegato”, dare seguito al suddetto decreto governativo che attingeva al canone 2014 in vista degli 80 euro in busta paga, mettere mano alla governance e dunque alla legge Gasparri, agganciare il canone stesso alla bolletta, dare più impulso al settore audiovisivo. Complice la gran protesta Rai d’estate, con l’Usigrai sulle barricate e gli schermi della tv pubblica intenti a trasmettere auto-spot pubblicitari di pura surrealtà (in cui la Rai veniva dipinta come migliore dei mondi televisivi possibili), si era pensato di accelerare. Qualcuno, da Viale Mazzini, aveva buttato la palla in tribuna (al governo e presso l’altra gamba del Nazareno). Che volete fare?, si erano chiesti consiglieri e diretti interessati, cercando l’occasione che ancora non c’era. Ora la commedia offre lo spunto. Chicca delle chicche: i consiglieri di centrosinistra Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, esponenti della “società civile”, che votano non solo a fianco del consigliere di centrodestra che ha presentato il ricorso (Antonio Verro, non più parlamentare e non ancora certo della futura destinazione dopo la scadenza del mandato), ma anche a fianco del consigliere “in quota” Gasparri (Guglielmo Rositani) e di Rodolfo De Laurentiis, consigliere in zona ex diccì casiniana in cerca d’autore (oltre a Todini, anche Antonio Pilati ha votato contro). Citando “illustri costituzionalisti”, gli esponenti della società civile hanno spiegato che il prelievo del canone configurerebbe “una violazione della legittimità costituzionale”, una sorta di violazione di “credito legittimo” (ma c’è chi dice che il ricorso non avrà effetto pratico, capace com’è di protrarsi all’infinito in infinite volute tribunalizie). Il capolavoro, però, è attribuibile alla presidente Rai Anna Maria Tarantola che, su un atto politico come questo, si “astiene” in quanto presidente di Garanzia (e in Viale Mazzini è già nato il motteggio. Domanda: “Perché ti astieni, Annamaria?”; risposta: “Perché sono presidente di garanzia”).

 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.