Tra la piazza e il palazzo

L'antisemitismo tormenta la sinistra in Germania (e tutto finisce in bagno)

Paola Peduzzi

Il leader della Linke Gregor Gysi al centro del “Toiletgate”. Il terreno scivoloso del riconoscimento dello stato palestinese. Il gelo tra Israele e l’occidente.

Milano. L’hanno soprannominato il “Toiletgate” ed è piuttosto ironico che un problema culturale e politico come l’antisemitismo finisca per essere associato a un gabinetto. La storia è questa: Gregor Gysi, leader della Linke tedesca, ha bloccato l’ingresso a un incontro ufficiale del partito in Parlamento a due giornalisti che hanno paragonato Israele alla Germania nazista e per giorni – accadeva all’inizio del mese – si è discusso sui giornali e sulla rete dei due giornalisti e delle accuse di antisemitismo a loro rivolte. Il tema era: fino a che misura è appropriato, nella politica tedesca, criticare Israele? I due membri della Linke che hanno organizzato l’incontro hanno deciso di tenerlo lo stesso, in un’altra sede (una sala conferenze del Parlamento): alla fine i due giornalisti, l’americano Max Blumenthal e il canadese-israeliano David Sheen, hanno chiesto di parlare direttamente con Gysi, per denunciare le minacce che hanno ricevuto e ottenere le sue scuse. Gysi non ha voluto incontrarli, loro l’hanno seguito nei corridoi del Bundestag, lui si è chiuso in bagno per evitarli e poi ne è uscito, per tornare a chiudersi nel suo ufficio, mentre i due giornalisti continuavano a chiedergli di scusarsi e a ripetere i danni che Israele fa al popolo palestinese (è stato tutto ripreso, il video si vede su YouTube). L’imbarazzo, tra i membri della Linke che si aggiravano preoccupati tra l’ufficio di Gysi e il bagno, era evidente: se il loro leader, che aveva un padre ebreo e funzionario del Partito comunista nella Germania dell’est, ha stabilito che le responsabilità tedesche nell’Olocausto obbligano la Linke “a farsi sentire nella difesa del diritto di Israele di esistere”, molti altri suoi compagni di partito non condividono. Anzi, si ribellano. Non è un caso che la Tageszeitung di Berlino, il più importante quotidiano di sinistra, abbia pubblicato martedì un editoriale in prima pagina in cui dice: “Se la Linke alimenta sentimenti antisemiti e anti israeliani smette di essere di sinistra. Il partito deve prendere una decisione”.

 

In Europa l’antisemitismo è in crescita, come dimostrano i molti casi di violenza accaduti negli ultimi anni, ma se per la politica è semplice prendere le distanze da piazze che urlano “ebrei maiali codardi”, dal punto di vista diplomatico la questione è più complessa. La Svezia ha per prima riconosciuto unilateralmente lo stato palestinese, mentre in Francia, nel Regno Unito e in Spagna sono state votate in Parlamento mozioni per il riconoscimento, al momento non vincolanti. Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha detto ieri che la questione sarà valutata “con massima attenzione al momento opportuno e più utile per rilanciare il negoziato”, mentre la posizione ufficiale europea converge verso un terreno scivoloso: dovremo riconoscere lo stato palestinese se il processo di pace collasserà (cosa già avvenuta). Israele sta distruggendo le case dei palestinesi che hanno ucciso ebrei a Gerusalemme nelle ultime settimane e, dopo la guerra a Gaza dell’estate, i suoi metodi di difesa sono di nuovo sotto attacco. E’ in atto un processo di delegittimazione nei confronti di Israele e della sua leadership – Benjamin Netanyahu in particolare, il premier è accusato all’estero di essere un falco e internamente di essere stato troppo debole contro Hamas, che paradosso.

 

[**Video_box_2**]Gli “occhi dolci” all’Iran - La copertina del Courrier International in edicola questa settimana spiega quel che sta accadendo. Il titolo è: “Israele-occidente: la rottura” e il dossier interno raccoglie articoli di vari media internazionali che spiegano innanzitutto la frattura tra Barack Obama e Netanyahu – i rapporti sono crollati quando un funzionario della Casa Bianca ha definito il premier israeliano “un cagasotto” – con un raffreddamento mai così intenso del rapporto di solidarietà tra Israele e gli Stati Uniti. Alla mancanza di sintonia tra i due si aggiungono quelli che a Gerusalemme chiamano “gli occhi dolci” dell’America nei confronti dell’Iran: sono in corso negoziati forsennati sul nucleare di Teheran per riuscire a trovare un accordoentro lunedì (da Londra fanno sapere che le possibilità di rispettare la deadline sono scarse, ma molti ribattono che è lo scetticismo britannico a parlare), ma in Israele sono tutti convinti che la minaccia contro lo stato ebraico non si ridurrà. L’Europa spera che l’accordo ci sia perché l’isolamento dell’Iran ha un peso economico non sostenibile, e si guarda attorno spaesata: nelle piazze s’alzano cartelloni che recitano “Israele assassino di bambini” e i loro giovani musulmani sono attratti dal richiamo jihadista del califfo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi