Maurizio Landini (foto LaPresse)

I nuovi mostri

Breve galleria dell'orrore da talk-show in felpaccia

Salvatore Merlo

Parlano a tutte le ore, da tutti i canali. Parlano da dietro lunghi tavoli, o sospesi su precari sgabelli, o accucciati su basse poltroncine, o compressi su rigidi divanetti (l’altra sera c’era Giorgia Meloni sadicamente penzoloni su un alto cubo colorato. Ma perché?). “Sono i nuovi mostri”, mi dice Aldo Grasso.

Roma. Parlano a tutte le ore, da tutti i canali. Parlano da dietro lunghi tavoli, o sospesi su precari sgabelli, o accucciati su basse poltroncine, o compressi su rigidi divanetti (l’altra sera c’era Giorgia Meloni sadicamente penzoloni su un alto cubo colorato. Ma perché?). “Sono i nuovi mostri”, mi dice, sorridendo, Aldo Grasso, il critico televisivo d’Italia. E d’altra parte lo zapping serale dei talk-show si ricompone in un formicolante palcoscenico horror. Martedì, su La7, c’era il trapezista provetto del giornalismo nazionale, Alan Friedman, l’unico italiano, con Dan Peterson e Shel Shapiro, capace di esprimersi ancora nella lingua di Stanlio&Ollio per darsi un contegno da stampa britannica. Eccolo dunque Friedman, che fa a gara a chi la spara più grossa con Maurizio Landini, sindacalista pronto uso, barba incolta da zdanovista aspirante al premio Lenin (mormora Grasso: “Da quando l’hanno ripreso in quel video su internet in cui parla con la polizia, Landini recita quella parte lì. E senza sbavature nell’imprevisto. Lo fa con la civetteria, sublime, della maglietta della salute che s’intravvede da sotto la scompagnata camicia”). Così Friedman finge d’incalzare Landini, e Landini finge d’arrabbiarsi con Friedman. Non si capisce più niente, ma intanto i decibel superano il livello di guardia, le sparate schizzano da una parte all’altra dello schermo, oscurano le immagini, stendono il conduttore, e così prima di cambiare canale orripilati si fa appena in tempo a osservare un’ultima scena splatter: qualche goccia di saliva che copre come rugiada un malcapitato microfono. Dice Aldo Grasso, entomologico: “Questo Landini campa su un tremendo sottotesto. E’ come se comunicasse sempre, a ripetizione, ossessivamente, che fare il sindacalista è una missione, e non un lavoro come un altro. Una mistificazione. Almeno Raffaele Bonanni è sincero e simpatico con la sua pensione da missionario d’oro”. E insomma sempre meglio diffidare di redentori da circo massimo, puri dell’operaismo e santi laici della metallurgia.

 

Purtroppo però non fai in tempo a passare sul canale 3, che vedi inquadrato un cappello con sciarpa, Antonio Pennacchi, che sembra appena arrivato dalla vendita all’ingrosso di un camion di cocomeri, e che, come vediamo dalla sovrimpressione, si chiama “scrittore”. Sta parlando, si fa per dire, con l’ubiquo Matteo Salvini, il quale anche stasera ha litigato con il pettine e indossa una felpona con scritto “Emilia”, forse un omaggio alle elezioni regionali (o forse la felpa “Lombardia” è andata finalmente in lavatrice, chissà). Ed ecco Aldo Grasso: “La felpa è la nuova estetica”, dice. “La felpa mette insieme Landini e Salvini, gli arruffati d’Italia. Con loro siamo passati dal talk-show in grisaglia, al talk-show da mercato rionale. E insomma la forma aderisce più che mai al contenuto”. D’altra parte, questo,  all’incirca, è lo scambio di battute da circonvallazione esterna che rimbalza tra Salvini e Pennacchi in diretta su Rai3. Niente iniziatiche allusioni, nessuna indecifrabile perifrasi, guai alle contorte reticenze, ma: “Sei un fesso”, “e tu sei un fesso e mezzo”. Ecco. Non si comprende come mai una comunità televisiva e giornalistica che dovrebbe avere un livello medio di civiltà e pulizia regredisca a livelli preistorici non appena si trova a contatto con un istituto, il talk-show, che in ogni altro paese del mondo occidentale, di solito, stimola una propensione alla chiarezza e alla pulizia. “E’ sparito il nemico”, dice Grasso con il tono di chi vede chiaro dove altri trovano la nebbia. “Non c’è più Berlusconi, è calata la tensione, è scomparso il nemico che tutto alimentava. Dunque la televisione cerca Salvini, e cerca l’arruffato minore Landini. Cerca personaggi come quel giornalista… Credo che si chiami Scanzi. Questi abbassano il livello. Ma portano un ingrediente prezioso per autori e conduttori pigri: la rissa. E tanto più è volgare, tanto più funziona. E’ un rituale, e purtroppo anche Giulia Innocenzi, che pure è giovane e potrebbe osare, ara il medesimo campo dei colleghi più anziani”. Eccoli dunque, i nuovi mostri, un universo di marionette caricate a molla, cetrioli entrati in televisione per una combinazione culinario-cabarettistica. “E d’altra parte”, conclude Grasso, “forse la rissa è il meno peggio. Le alternative, nel talk, sono infatti il caso umano e morboso. O la tremenda, tremenda marchetta: l’ultimo libro che nessuno legge, l’imperdibile film che nessuno guarda”. Evviva Salvini? “No, dai”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.