Quattro morti in sinagoga

L'Intifada dei coltelli e i pifferai del terrore. Pogrom a Gerusalemme

Giulio Meotti

Radio, giornali, tv. Non solo Hamas, così i “moderati” di Abu Mazen incitano i palestinesi a uccidere gli israeliani. Intanto in Francia una strada a Barghouti, che dal carcere sprona al terrorismo contro Israele

Roma. Qualche giorno fa sulla prima pagina di al Hayat al Jadida, il quotidiano ufficiale dell’Autorità palestinese, campeggiava un’esortazione: “Spingi il gas fino a 199 km orari. Fallo per al Aqsa”. Si incitava a lanciare automobili sui passanti ebrei. Due attacchi simili sono stati compiuti nelle ultime due settimane a Gerusalemme. Ieri, alla Kehilat Bnei Torah di Gerusalemme, due cugini palestinesi della zona orientale della capitale israeliana hanno usato le mannaie per uccidere quattro ebrei raccolti in preghiera. Nell’attentato ha perso la vita il rabbino Moshe Twersky, il nipote del grande Joseph Soloveitchik, il padre dell’ebraismo ortodosso americano.

 

Il fondatore delle unità religiose di pronto soccorso, Yehuda Meshi Zahav, ha detto che il massacro di ieri, “con gli ebrei uccisi con i filatteri, i libri sacri, il sangue, ricorda l’Olocausto”. L’attacco ha avuto luogo a tre chilometri dal memoriale della Shoah, Yad Vashem. La chiamano “l’Intifada dei coltelli”. Idbah al Yahud. Uccidete gli ebrei. “Idbah” è un termine arabo mutuato dal vocabolario dei macellai. Sia Hamas sia il Fronte popolare per la liberazione della Palestina hanno rivendicato la strage. Ieri il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ha condannato l’attacco, ma è stata la sua prima e unica presa di posizione contro il terrorismo che sta insanguinando Gerusalemme, Tel Aviv e la Cisgiordania. Per questo, da Londra, il capo della diplomazia americana John Kerry ha chiesto a Ramallah di fermare la propaganda d’odio contro Israele.

 

“Le mani che hanno impugnato le asce erano dei terroristi, ma la voce è di Abu Mazen”, ha detto il ministro degli Affari strategici d’Israele, Yuval Steinitz, braccio destro del premier Benjamin Netanyahu. “Chiunque chiami i musulmani a difendere la moschea di al Aqsa con tutti i mezzi contro gli ebrei ha la diretta responsabilità per il pogrom alla sinagoga di Har Nof”.

 

Da settimane Abu Mazen ha impugnato la bandiera della moschea di al Aqsa al grido di “difendete i luoghi santi islamici” con “tutti i mezzi” dagli ebrei, da lui definiti “mandrie di bestiame”.

 

Era dai tempi di Yasser Arafat che non si vedeva così tanto incitamento all’odio sui media palestinesi, lautamente finanziati dall’Unione europea. Non soltanto Hamas e Jihad islamico, ma soprattutto Fatah e gli organi di informazione dell’Autorità palestinese del presidente Abu Mazen. Ieri il Congresso ebraico europeo ha chiesto a Bruxelles di vincolare gli aiuti economici a Ramallah con la fine della propaganda antisemita.

 

La scorsa settimana, in un video per la televisione palestinese, Abu Mazen ha detto che la presenza degli ebrei sul Monte del Tempio, sacro sia agli ebrei sia ai musulmani, lo “contamina” e deve essere impedita “in ogni modo”. Nella funerea pubblicistica palestinese, espressioni come “in ogni modo” e “con tutti i mezzi” indicano il ricorso al terrorismo. Così, mentre una bambina israeliana di tre mesi veniva uccisa in un attentato a Gerusalemme, l’ex premier palestinese Ahmed Qurei dichiarava che Israele pianifica “una invasione su larga scala” della moschea di al Aqsa.

 

[**Video_box_2**]Il volto di Muataz Hijazi, il terrorista che ha attentato alla vita del rabbino Yehuda Glick, oggi campeggia sulla pagina Facebook di Fatah, il partito di Abu Mazen. Sorride il terrorista, con la cupola della Roccia alle spalle. In una vignetta, Fatah presenta come cani rabbiosi gli ebrei israeliani attorno alla moschea di al Aqsa. Alla televisione ufficiale palestinese, il dirigente di Fatah Muhammad al Biqa’i ha detto che “Gerusalemme ha bisogno di sangue per purificarsi degli ebrei”. Poi è passato all’elogio degli ultimi attentatori. Intanto, dal carcere, il più popolare leader palestinese, il dirigente di Fatah Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli, incita i palestinesi a compiere altri attentati. E’ lo stesso Barghouti che in Europa si vede intitolare strade in suo onore (è appena successo a Valenton in Francia).

 

Il professore israeliano Elihu Richter ha scritto che le mannaie e le pistole sono l’“hardware del terrore”. Ma l’indottrinamento e l’incitamento all’odio sono il “software dei terroristi”. Non è la prima volta che un capo palestinese invita la popolazione a “difendere” al Aqsa. Accadde anche nell’ottobre del 2000, quando l’allora leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon fece una visita sul Monte del Tempio (concordata con l’Autorità palestinese) e Arafat la usò a pretesto, definendo una “profanazione” la presenza di ebrei in quel sito, per scatenare la violenza contro Israele. Seguirono cinque anni di terrorismo, linciaggi e attentati suicidi, in cui persero la vita 1.200 israeliani.

 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.