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Armi di distrazione di massa

Renzo Rosati

“A novembre piove, Patto di stabilità ladro!”. Dati e ricordi anti bufala. Bomba d’acqua, dissesto idrogeologico, e peggio ancora quel Patto di stabilità che legherebbe le mani ad amministratori locali altrimenti fulmini di guerra, sono balle mediatiche che coprono un girotondo di alibi e incapacità a coabitare con un rischio che c’è sempre stato e sempre ci sarà.

Nel novembre 1966 andai con i compagni del liceo a tirar fuori i libri da palazzo Strozzi, rimasto sotto l’alluvione di Firenze. Tornato a Livorno mio padre mi imbarcò sul Maggiolino in missione di ricognizione-soccorso dei parenti di Grosseto dove erano straripati l’Ombrone e l’Albegna. Pochi anni dopo, cronista alle prime armi del Secolo XIX di Genova, mi imbattei negli strascichi del grande disastro dell’ottobre 1970 causato dalla piena di Bisagno, Forteggiana, Sturla, Polcevera, Leira, Chiaravagna e Cantarena, i torrenti urbani protagonisti dei talk-show di questi giorni: si trattava di vedere come erano finiti i duemila sfollati.

 

Questo amarcord solo per dire che bomba d’acqua, dissesto idrogeologico, e peggio ancora quel Patto di stabilità che legherebbe le mani ad amministratori locali altrimenti fulmini di guerra, sono balle mediatiche che si tengono le mani in un gran girotondo di alibi e incapacità a coabitare con un rischio che c’è sempre stato e sempre ci sarà, e bisogna affrontarlo senza piagnistei, non passando da SkyTg a “Ballarò” a “Piazza Pulita”.

 

Innanzi tutto occhio alle date. Delle 43 alluvioni in Italia tra il 2000 e il 2014 elencate da Wikipedia, 26, le più gravi, sono tra fine settembre e novembre. Così 23 delle 32 tra il 1947 ed il 1999. E otto delle 13 tra il 1861 e il 1946. E ancora otto su 13 di quelle tramandate dal 589 al Regno d’Italia. Strano: in autunno piove. Piove moltissimo: nel 1557 a Palermo 7 mila morti. Nel 1951 sul meridione 1.800 millimetri di pioggia in quattro giorni. Un mese dopo il Po ruppe gli argini in Polesine causando 84 morti e 180 mila senzatetto. Del quattro novembre sono l’alluvione del ’66 a Firenze, Maremma e Veneto, con 73 morti. Nel ’70 a Genova il Bisagno e gli altri fiumi strariparono il 7-8 ottobre causa un metro di pioggia in 24 ore. I corsi d’acqua della Liguria usciranno dagli argini altre 11 volte negli anni successivi, così come nei decenni precedenti. Dopo il ’66 l’Ombrone sommergerà la Maremma in modo eccezionale altre tre volte, come una decina nel secolo precedente. Ma allora non esistevano bombe d’acqua, il fiume straripava e non esondava, il climate change non era sugli schermi radar, e i sindaci, come Piero Bargellini a Firenze, si precipitavano a dare una mano ai soccorritori, non piantavano le tende in tv a reclamare quattrini dallo stato.

 

[**Video_box_2**]Il “dissesto idrogeologico” citato come scienza esatta, e al quale cede anche Wikipedia – la rotta della Cucca dell’Adige del 589 d.C. è attribuita a “dissesto idrogeologico seguito alla scarsa manutenzione dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente” – benché di là da venire era casomai declinato al contrario: dopo le piene del Tevere si invocarono i muraglioni realizzati dai piemontesi, poi contestati dagli ambientalisti. Dopo il Polesine si costruirono argini che vennero accolti come benedizione, non cementificazione. Il Bisagno è stato interrato dal fascismo: nel 1992 quando arrivarono a Genova mille miliardi di lire dallo stato per le Colombiadi, comune e regione non pensarono lontanamente di occuparsene. Ora la colpa sarebbe del Patto di stabilità del 2001 che impone a sindaci e governatori di non spendere più di quanto incassano: ma da allora per la Ragioneria dello stato e la Cgia di Mestre le tasse locali sono aumentate del 138 per cento (quelle statali del sette), e le sole imposte regionali sono passate da 47 a 81 miliardi. Eppure nel 2012 per “protezione della natura e beni materiali” ne hanno spesi 1,1, cioè lo 0,6 per cento del totale. Al personale ne hanno destinati sei. E si lamentano.

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