Tony Abbott e Angela Merkel (foto AP)

Pennsylvania Avenue

L'Australia e la svolta sviluppista del G20. Berlino intenda

Domenico Lombardi

Il summit del G20 di Brisbane, in Australia, si è concluso domenica con un impegno pluriennale a conseguire due punti aggiuntivi di crescita per l’economia mondiale entro i prossimi quattro anni.

Il summit del G20 di Brisbane, in Australia, si è concluso domenica con un impegno pluriennale a conseguire due punti aggiuntivi di crescita per l’economia mondiale entro i prossimi quattro anni; con l’approvazione di alcune iniziative nel campo della regolamentazione finanziaria proposte dal Financial stability board (Fsb) che compensano l’imbarazzo per lo stallo della mancata riforma del Fondo monetario internazionale (Fmi); infine, da un punto di vista squisitamente politico, anche questo vertice sancisce il crescente isolamento internazionale della Russia, il cui presidente, Vladimir Putin, ha garbatamente abbandonato i lavori prima della chiusura.

 

Ma torniamo alla crescita che la presidenza australiana considera il proprio lascito politico. Nell’autunno scorso, quando l’Australia raccolse il testimone del G20 dalla mediocre presidenza russa, l’aspettativa per l’anno in corso era per una crescita dell’economia mondiale del 3,6 per cento. Da allora, l’incertezza geopolitica è aumentata considerevolmente in seguito all’avventurismo russo in Ucraina mentre le tensioni in medio oriente si sono intensificate. Allo stesso tempo, la dinamica delle principali economie si è decisamente disallineata. Nell’Eurozona si è infatti manifestato un persistente appiattimento nelle prospettive di crescita in un contesto tendenzialmente deflattivo, come hanno ulteriormente confermato i dati Eurostat della settimana scorsa. Sull’altra sponda dell’oceano Atlantico, invece, l’economia americana ha ripreso vigore nonostante qualche incertezza nella prima parte dell’anno: nel mese di ottobre il tasso di disoccupazione è sceso al 5,8 per cento con quasi 250 mila nuovi posti di lavoro creati. Si è trattato del 49esimo mese di fila in cui tale variazione registra segno positivo. Nel complesso, la creazione di nuovi posti di lavoro dall’inizio dell’anno è stata la più significativa dal 1999. Allo stesso tempo, la profittabilità delle imprese s’è rafforzata sospinta da una crescita del pil che nel terzo trimestre ha ecceduto le aspettative, attestandosi al 3,5 per cento.

 

Pertanto, a fronte della crescente eterogeneità nella performance e nella sottostante incertezza che le varie economie si trovano a fronteggiare, la presidenza del G20 optava per un’agenda incentrata sulla crescita stabilendo un obiettivo complessivo di 2 punti aggiuntivi di pil mondiale da conseguire entro il 2018. Tuttavia piuttosto che declinarne le implicazioni macroeconomiche per ciascuna economia, la presidenza australiana ha scelto un approccio “micro-fondato” e politicamente neutrale, richiedendo ai paesi membri di presentare progetti di investimento che contribuissero all’obiettivo di crescita addizionale sopra definito. In tal modo Canberra ha reintrodotto, implicitamente, il principio di un lasco coordinamento nelle politiche di crescita su un piano apparentemente del tutto tecnico e di natura microeconomica. Ciononostante, l’enfasi sugli investimenti, soprattutto quelli in infrastrutture, suggerita inizialmente dall’Ocse alle autorità australiane, ha incontrato resistenze in Germania. La scusa formale, nelle scorse settimane di preparazione del summit dei capi di governo, era stata che il ministero delle Finanze non ha competenze sui progetti infrastrutturali al di là degli aspetti di bilancio che essi comportano. In realtà i tedeschi sospettavano, a ragione, che la sottile mediazione australiana li potesse chiudere in un angolo nel dibattito tra austerità e flessibilità delle politiche fiscali; tema da tempo combattuto nelle sedute che partoriscono i comunicati ufficiali del G20. Tatticamente ciò spiega il tempismo con cui la cancelliera tedesca Angela Merkel, alla vigilia della sua partenza per l’Australia la scorsa settimana, ha presentato la legge di stabilità per il prossimo anno. Per la prima volta negli ultimi quarantacinque anni, la Germania avrà il bilancio in pareggio grazie all’abbattimento di 400 miliardi di euro, apparentemente deciso all’ultimo momento, e al rinvio di investimenti aggiuntivi per altri 10 miliardi al 2016.

 

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Il comunicato finale è diplomatico, bilanciato, ma non manca di sottolineare che la congiuntura mondiale è rallentata da un deficit della domanda fornendo in tal modo un assist importante a quei governi che hanno auspicato un maggiore pragmatismo nella formulazione della loro strategia macroeconomica. Nel comunicato si afferma che i paesi membri continueranno a mettere in pratica in maniera flessibile le strategie di aggiustamento fiscale, valutando le condizioni dell’economia, con l’obiettivo di portare il rapporto debito/pil su un percorso sostenibile. Senza apertamente nominarle, si incoraggiano le autorità monetarie a sostenere la crescita “anche per contrastare le pressioni deflazionistiche”, segnale che secondo gli osservatori è rivolto in particolare alla Banca centrale europea, il cui attivismo è limitato soprattutto dai veti tedeschi. Si pone poi una certa enfasi sull’annuncio del programma pluriennale Global Infrastructure Initiative teso a incoraggiare investimenti sia privati sia pubblici in infrastrutture (una carenza fatta notare alla Germania anche dal Fondo monetario internazionale) attraverso il coordinamento tra governi, privati, banche di sviluppo e organizzazioni internazionali.

 

[**Video_box_2**]In effetti, gli investimenti infrastrutturali si prestano a essere uno strumento di gestione della domanda aggregata per quelle economie in cui la domanda è fiacca, come l’Italia. Nelle economie di pieno impiego, come la Germania, essi rappresentano uno strumento di espansione dell’offerta contribuendo a innalzare il tasso potenziale di crescita in maniera non inflazionistica. Inoltre, nella misura in cui essi contribuiscono a elevare la produttività, gli aumenti salariali che ne derivano innescano un processo salutare di ribilanciamento delle economie in surplus tramite l’incremento della domanda domestica. Infine, nelle economie emergenti, gli investimenti infrastrutturali contribuiscono a rendere sostenibile l’alta crescita che ha, negli ultimi anni, contribuito a stabilizzare l’economia mondiale oltre che l’ordine sociale di molti di questi paesi. Germania a parte, cosa sarà di questo importante capitolo dell’agenda australiana, così importante per l’Italia e l’Eurozona, a partire da queste ore? Sarebbe ingiusto archiviare la presidenza australiana del G20 appena terminata come inefficace o al di sotto di ogni ragionevole aspettativa, avendo mostrato una buona capacità strategica nel galvanizzare i paesi membri, nel corso dell’intero anno, sulle incerte prospettive di crescita che l’economia mondiale fronteggia. Molto dipenderà dallo zelo con cui le presidenze successive, a cominciare da quella turca che sta per subentrare, riusciranno a creare un clima di pressione per indurre a conseguire i micro-obiettivi che ciascun membro si è volontariamente dato. Se ne riparlerà al prossimo vertice, tra un anno, nella bella città turca di Antalya.

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