Matteo Renzi e Tony Abbott (foto LaPresse)

Taccuino di volo

Appunti (internazionali) per un governo rapido, riformatore e non pol. corr.

Marco Valerio Lo Prete

Australiani che cancellano tasse. Francesi che stimolano le imprese. Presidenti che sfidano l’Europa non solo a parole.

Roma. Ieri Matteo Renzi ha dedicato soltanto due tweet ai suoi 1,43 milioni di follower. Uno per dire “ottime le impressioni della giornata di lavoro a Sidney. Anche i dati di oggi confermano che export è centrale. Domani al lavoro a #Chigi”; un altro per correggersi e scrivere “Sydney”. Non ha nemmeno imperversato nelle dirette televisive. Un quasi-blackout, per gli standard renziani, presto spiegabile: il viaggio di ritorno dall’Australia, dove nel fine settimana si è tenuto il G20, dura quasi 24 ore. Dopo gli ultimi saluti di domenica alle “eccellenze imprenditoriali italiane” nell’area di Sydney, al presidente del Consiglio non saranno mancati i momenti per riflettere durante il lungo volo. E mentre sui media l’autunno o è “caldo” o “piovoso come mai prima”, tertium non datur, mentre l’Istat perdipiù certifica la terza recessione per l’Italia dal 2008, chissà che il presidente -Rottamatore, per fuggire a ogni rischio d’impantanamento, non abbia cercato ispirazione nell’operato di governi stranieri che la Rottamazione la stanno praticando davvero, a suon di leggi approvate.

 

A partire da Tony Abbott, l’australiano anti tasse per eccellenza, ben lieto nelle scorse ore di farsi fotografare assieme al primo presidente del Consiglio di Roma ad aver mai messo piede Downunder. Il leader dei liberali australiani, eletto primo ministro nel settembre del 2013 dopo un incontrastato dominio laburista che durava dal 2007, nel giro di dieci mesi ha tenuto fede alla principale promessa della sua campagna elettorale: cancellare la Carbon tax che faceva inorridire innanzitutto le rampanti aziende locali che estraggono materie prime e le esportano nell’energivora Cina. Nel luglio scorso è arrivato l’annuncio ufficiale agli elettori, dopo l’ultimo passaggio parlamentare: “Oggi la tassa che con il vostro voto avete detto di voler eliminare non c’è più”, proclamò Abbott. Gli allarmisti del riscaldamento climatico se ne faranno una ragione – è stato il ragionamento del primo ministro del Partito Liberale – visto che i costi dell’energia e della benzina si abbasseranno e faranno risparmiare a ogni singola famiglia australiana almeno 550 dollari l’anno.

 

[**Video_box_2**]I cugini d’Oltralpe degli 80 euro (per 10). Sul Monde di domenica, quindi in tempo perché Renzi potesse comprare il giornale francese in versione cartacea o scaricarlo sull’iPad prima di salire sull’aereo per l’Italia, si trovava un altro appunto utile per un Rottamatore che ci tenga a non essere ricordato tra qualche mese come l’animatore di un Letta-bis. L’appunto era fra le righe dell’intervista a Emmanuel Macron, 36enne ministro dell’Economia francese, una delle nuove speranze del socialismo con la rosa nel pugno. Macron non teme di dichiarare che il primo obiettivo del nuovo esecutivo guidato da Manuel Valls è quello di “ristabilire la fiducia delle imprese nella politica del governo”. Innanzitutto garantendo una coerenza e una stabilità tra annunci e riforme approvate. Non che Parigi, dall’inizio della crisi, abbia brillato per foga riformatrice. Tuttavia il governo Valls ha approvato una misura che ricorda da vicino gli 80 euro per i redditi più bassi varati – questi sì – dal governo Renzi. Si chiama “Crédit d’impôt pour la compétitivité et l’emploi”, o Cice, e Macron sul Monde ha rivendicato come sia servito ad abbassare il costo del lavoro nell’industria perfino sotto i livelli dei primi della classe, i tedeschi. Perché i francesi di riforma hanno fatto praticamente solo questa, ma il credito d’imposta del 6 per cento sui salari lordi medio bassi vale 50 miliardi di euro l’anno, cioè 10 volte tanto lo sgravio renziano degli 80 euro. Non solo: il taglio, invece che finire in busta paga, se lo godono le aziende, con il risultato che i socialisti di Valls e Hollande hanno preso una misura più “offertista” di quella renziana. Non è poca cosa, nel paese della caccia alle streghe ultralibérales, in cui Macron si permette perfino di rilanciare le privatizzazioni (partendo dagli aeroporti regionali, capito Sergio Chiamparino?).

 

La grandeur alla prova del deficit. Infine, osservano non pochi frequentatori di Bruxelles, Renzi potrebbe prendere spunto soprattutto dall’atteggiamento di Parigi rispetto alla Commissione Ue. Dall’Eliseo non arrivano quotidiane (e gustose) frecciatine alla volta dei noti burocrati. Piuttosto la Francia scrive nero su bianco che quest’anno il rapporto deficit/pil arriverà al 4,4 per cento, rimarrà praticamente invariato l’anno prossimo e rientrerà nei parametri di Maastricht soltanto nel 2017. E’ quel misto di radicalité e grandeur cui potrebbe ispirarsi Renzi. Bentornato a Roma.

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