"L'esattore" di Marinus van Reymerswaele

Come si cura la disuguaglianza. Più mercato o più tasse? Paesi a confronto

Luciano Capone

Un sondaggio del Pew Research Center indaga su quale sia il metodo migliore per ridurre le differenze di reddito. Nei paesi più avanzati le persone ritengono che sia preferibile aumentare le tasse sui più benestanti e sulle imprese per redistribuire la ricchezza, cosa che non avviene nei paesi emergenti o in via di sviluppo

Esiste un grande problema di disuguaglianza economica, quindi bisogna abbassare le tasse ai ricchi e alle imprese. Sembrerebbe un controsenso in un periodo in cui il libero mercato, spesso indicato come “liberismo” o “turboliberismo”, viene accusato di ogni malefatta: dalla recessione alla disoccupazione, dall’impoverimento alle disuguaglianze, passando per i disastri naturali e addirittura l’ebola. Ma è quello che pensano, soprattutto nei paesi in via di sviluppo dove la disuguaglianza è maggiore, gli intervistati in un sondaggio del Pew Research Center, un think tank indipendente con base a Washington che conduce sondaggi e ricerche a livello globale.

 

Se la disuguaglianza è vista come un grosso problema per tutte le categorie di paesi sondati – sviluppati, emergenti e in via di sviluppo – molto diverse sono le risposte date dagli intervistati su quale sia il metodo migliore per ridurre le differenze di reddito. In generale nei paesi più avanzati le persone ritengono che sia preferibile aumentare le tasse sui più benestanti e sulle imprese per redistribuire la ricchezza a favore dei più poveri attraverso la spesa pubblica, mentre nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo ritengono che per ridurre le disuguaglianze sia preferibile abbassare le tasse sui ricchi e sulle aziende per favorire gli investimenti e la crescita economica. Questa divergenza sembra paradossale perché a preferire tasse più basse sono proprio quei paesi dove spesso la pressione fiscale è inferiore rispetto ai paesi sviluppati e nei quali le disuguaglianze sono maggiori. La giustizia sociale andrebbe perseguita attraverso meno tasse su ricchi e imprese in paesi come il Brasile (77 per cento), l’Argentina (60 per cento), il Vietnam (60 per cento), il Venezuela (55 per cento), l’India (39 per cento). Si tratta di nazioni che hanno iniziato a sperimentare i benefici del capitalismo con alti tassi di crescita, che sono usciti da regimi in cui la pianificazione pubblica ha impedito la crescita economica o stati in cui le politiche pubbliche interventiste, redistributive e inflazionistiche creano ancora oggi distorsioni e gravi problemi di crescita. Ovviamente nel gruppo dei paesi in via di sviluppo ci sono delle eccezioni, come la Cina (42 per cento), il Cile (53 per cento) e l’Egitto (53 per cento) che invece chiedono tasse più alte per colmare le differenze.

 

 

[**Video_box_2**]Nei paesi ricchi invece gli intervistati preferiscono la ricetta Piketty, aliquote marginali più alte per i più ricchi e aumento delle imposizioni patrimoniali per redistribuire la ricchezza: la pensano così negli Stati Uniti (49 per cento), dove il libro dell’economista francese è stato un best-seller, in Germania (61 per cento), Corea del Sud (53 per cento) e Regno Unito (50 per cento). Ma anche il gruppo dei paesi più economicamente avanzati ha le sue eccezioni, che guarda caso sono l’Italia (68 per cento), la Francia (61 per cento) e la Grecia (50 per cento), tre paesi non propriamente turboliberisti, in cui lo Stato intermedia una buona metà dell’economia nazionale, ma che evidentemente gli intervistati ritengono non sia lo strumento adatto a ridurre le disuguaglianze. Anzi, ne è proprio la causa, visto che la soluzione alla disparità economica viene indicata nella riduzione delle richieste fiscali dei rispettivi governi. D’altronde se i dati Istat dicono che circa 6 milioni di italiani vivono in condizioni di povertà assoluta (10 per cento della popolazione), che sale ad oltre 10milioni (16,6 per cento) se prendiamo in considerazione quelli che vivono in “povertà relativa”, allor vuol dire che i circa 800 miliardi di spesa pubblica non riducono le disuguaglianze e non tirano le famiglie bisognose fuori dalla miseria, anzi addirittura ce le conducono a causa di pretese fiscali eccessive. In pratica, stando al sondaggio Pew Research, i paesi in via di sviluppo e quelli in via di recessione come l’Italia ritengono che la redistribuzione statale non sia poi più giusta e equa della selezione “selvaggia e darwiniana” del mercato.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali