Così Erdogan prepara i suoi “boots on the ground” contro Assad

Carlo Panella

I curdi che combattono lo Stato islamico a Kobane, in Siria, sono terroristi e alleati di Bashar el Assad: affermazione greve, forse troppo sintetica, ma in buona sostanza vera.

Roma. I curdi che combattono lo Stato islamico a Kobane, in Siria, sono terroristi e alleati di Bashar el Assad: affermazione greve, forse troppo sintetica, ma in buona sostanza vera. L’Ue nel 2002 e gli Stati Uniti nel 2004, hanno iscritto il Pkk (di cui il Pyd è la sezione siriana senza autonomia politica) nella lista delle organizzazioni terroriste ed è palese l’accordo, nel 2011-’12, tra il Pyd e Assad che ha consegnato al suo braccio armato, il Pyg, tutte le basi militari dell’esercito siriano che si è ritirato dal Kurdistan, per meglio reprimere l’insurrezione popolare nel resto del paese.

 

Sono verità spiacevoli nel momento in cui è giustamente debordante l’onda di simpatia per i curdi del Pyg che resistono a Kobane, ma pur sempre verità. Se non le si ha presenti, nulla si comprende sulla battaglia di Kobane e si fa trista figura di John Kerry, che un mese fa dichiarò che la difesa di Kobane non era strategica, salvo poi ricredersi. Indicative le parole del segretario di stato: “Le immagini che ci giungono da Kobane sono orribili, ma dovete fare un passo indietro e capire qual è l’obiettivo strategico degli Stati Uniti: malgrado la crisi a Kobane, gli obiettivi originali del nostro impegno militare in Siria sono i centri di comando e le infrastrutture dell’Is”. Ma il vero problema è che Barack Obama non solo non ha alcuna strategia contro il califfo, ma ha anche idee confuse sulla “questione curda”. Non così il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che nel vuoto strategico e di analisi della Casa Bianca trova un varco per gestire in proprio la crisi di Kobane e usufruire dei dividendi politici.

 

[**Video_box_2**]I curdi sono divisi, grosso modo, in due  “famiglie politiche”, che corrispondono a una netta differenza sociale, culturale e politica, tra il Kurdistan dell’Iran e dell’Iraq, con grandi centri urbani e da lungo tempo politicizzato, e il Kurdistan pastorale, emarginato e culturalmente arretrato di Turchia e Siria. In Iraq il movimento politico curdo nasce alla fine dell’Ottocento e ha prodotto una classe politica esperta che ha visto Mustafa Barzani, padre dell’attuale leader iracheno Massoud, concludere alleanze con Stalin e con Kissinger, sia pure perdenti. Pari è lo spessore politico dei curdi iraniani che nel 1945, alleati con Stalin, proclamarono una effimera Repubblica di Meherabad e che oggi contrastano con vigore il regime degli ayatollah. Erbil e Mehrabad sono le città curde (con Kirkuk) in cui si è formata la dirigenza politica curda irachena e iraniana, là dove il Pkk e il Pyd turco e siriano nascono in ambito maoista nel 1978 e si radicano in un contesto rurale e miserrimo. Il primo Abdullah Ocalan, sino alla cattura, è marxista leninista con tratti alla Pol Pot, come dimostrano infiniti episodi di violenza settaria del suo Pkk. Imprigionato dai turchi, oggi Ocalan si piega alla dirigenza politica di Massoud Barzani e concorda con Erdogan una difficile road map per mettere fine a una guerra che ha fatto 35 mila morti.

 

La “non strategia” di Obama apre le porte a un intervento egemonico di Erdogan in tutta la Siria, che inizia da Kobane. Per settimane lascia che i curdi “settari” del Pyd-Pyg si svenino a Kobane. Poi, con precisione chirurgica, prima vi fa entrare i peshmerga del fidato alleato curdo iracheno Barzani, poi i combattenti “laici” del Free Syrian Army. La strategia turca è chiara: consegnare la vittoria probabile di Kobane – e il controllo sul Pyd – ai curdi iracheni e da lì partire verso Aleppo con peshmerga iracheni, membri del Fsa e reparti “coperti” turchi, alla ricerca dello scontro strategico: quello con i pasdaran iraniani. Obama si dissangua con i raid aerei, i “boots on the ground” li mette Erdogan, con una strategia divergente quanto ad Assad e soprattutto a rapporti con l’Iran.

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