Vladimir Putin (foto LaPresse)

La provocazione di Mosca

Perché Putin non vuole andare fino a Kiev (c'entra anche il vino moldavo)

Redazione

In Ucraina si rischia la “guerra totale”, dice l’Onu. Il piano di destabilizzazione del Cremlino passa per la Moldavia.

Roma. L’Onu dice che in Ucraina si rischia il “ritorno a una guerra totale”, ora che blindati e truppe provenienti dalla Russia sono entrati in gran numero nell’est del paese in violazione degli accordi di Minsk dello scorso settembre. C’è il rischio di un “conflitto congelato e protratto che potrebbe radicare lo status quo in Ucraina negli anni o nei decenni a venire”, ha detto durante una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la ventiseiesima sulla situazione in Ucraina, il segretario generale aggiunto Jens Anders Toyberg-Frandzen. Mercoledì la Nato ha confermato quello che il governo di Kiev e l’Osce vanno dicendo da giorni, e cioè che mezzi corazzati, truppe e armi pesanti hanno attraversato in gran numero il confine, e Kiev teme che queste siano le premesse per un attacco su larga scala. Ieri il giornalista ucraino Andrei Tsaplienko ha raccontato di due conversazioni “rubate” a due comandanti di battaglione separatisti (i soldati ucraini hanno requisito il telefono cellulare a due separatisti, e lo hanno usato fingendosi dei miliziani) in cui entrambi parlavano di una “offensiva” che inizierà domenica. Così Kiev si “prepara al combattimento”, come ha detto il ministro della Difesa Stepan Poltorak, che ha richiamato nuovi riservisti nell’esercito e ha mandato rinforzi alle due posizioni del governo che da giorni sono sotto l’attacco dell’artiglieria dei separatisti, l’aeroporto di Donetsk e la città portuale di Mariupol’.

 

Mosca nega tutto, nega l’invio di truppe e nega la violazione degli accordi di Minsk, e anzi ieri il premier, Dmitri Medvedev, ha invitato l’occidente a “rimuovere le sanzioni” e a “riportare le relazioni alla normalità”, rinnovando lo schema putiniano del doppio standard – quello della diplomazia conciliante e dell’aggressione sul campo, del chiedere la pace e intanto inviare truppe – che nei mesi prima di Minsk era diventato la norma del comportamento del Cremlino. Il doppio standard – che anche da parte occidentale ha visto alcuni eccessi di propaganda – non vale solo per l’Ucraina: mercoledì il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha annunciato un programma di pattugliamenti di cacciabombardieri lungo le coste dell’America. E’ una mossa intimidatoria che non si vedeva dai tempi della Guerra fredda, a cui Mosca ha aggiunto l’annuncio di voler restringere la cooperazione con l’America sullo smaltimento del materiale nucleare.

 

[**Video_box_2**]Ci sono molte ragioni per cui Putin potrebbe aver riportato in Ucraina i suoi “omini verdi”, le truppe professionali prive di segni di riconoscimento, e Carol Matlack su Businessweek ha provato a elencarne alcune, tra cui minare il governo di Kiev, dove alle ultime elezioni le forze pro occidentali hanno ottenuto una maggioranza schiacciante, alleggerire la situazione della Crimea, che è stata occupata a marzo ma non ha collegamenti diretti con il territorio russo e ristabilire il controllo sui separatisti, che nei due mesi di cessate il fuoco, anche non è mai stato davvero tale, si sono mossi con troppa autonomia. Tra gli obiettivi del presidente russo non c’è però quello di “prendere Kiev in due settimane”, come disse a settembre. Potrebbe farlo se volesse, ma per ora il suo interesse è quello di evitare l’ingresso dell’Ucraina nella sfera di influenza europea, nonostante il risultato delle elezioni a Kiev, e dunque mantenere l’oriente ucraino instabile.

 

Il modello Crimea

 

La Russia sta cercando di usare la strategia dell’instabilità anche in Moldavia, ex repubblica sovietica e paese più povero d’Europa. Anche in Moldavia, come in Ucraina, c’è una regione che per etnia e ideologia si sente russa, la Gagauzia, e un governo centrale che vorrebbe portare il paese nell’area di prosperità europea. La Gagauzia, a sud della Moldavia, è l’area più ricca del paese, perché lì ha sede una delle poche industrie fiorenti, quella del vino. Come in Ucraina, quando il governo ha annunciato di essere vicino a un accordo di libero scambio con Bruxelles, il Cremlino ha risposto imponendo un boicottaggio apparentemente pretestuoso – e lo ha imposto proprio sui vigneti filorussi della Gagauzia. A febbraio, un paio di mesi dopo l’inizio del boicottaggio, in Gagauzia si è tenuto un referendum per decidere il futuro della regione. I cittadini si sono espressi a gran maggioranza per legami più stretti con Mosca, e ora i leader locali minacciano la seccesione. Il 30 novembre ci saranno le elezioni in Moldavia, e le forze europeiste sono in vantaggio nei sondaggi. Ma la strategia della destabilizzazione di Putin agisce sul lungo periodo, e dopo la Transnistria, che a marzo ha chiesto l’annessione alla Russia, la minuscola Moldavia potrebbe perdere un altro pezzetto.

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