Sabino Cassese

Galantomismo repubblicano

L'insigne giurista che sorprende per equilibrio e radicalità

Redazione

Sabino Cassese a sorpresa torna al Corriere e firma un manifesto sulla giustizia (di sostanza riformatrice). Toghe che riscrivono la storia.

Roma. Non è Stefano Rodotà né Gustavo Zagrebelsky, e non solo perché la sua funzione di giudice costituzionale consiglia l’equilibrio, ma perché fa parte del suo stile una certa ferma pacatezza, una prudenza per nulla in contraddizione con la nettezza di posizioni che pure si richiamano al riformismo. Adesso è tornato a scrivere sul Corriere della Sera, a sorpresa, dopo anni di Repubblica, in prima pagina, e con un editoriale in cui ha scritto di “giudici che vogliono giudicare la storia”, di “grigia miopia della giustizia”, d’un collasso “che ha conseguenze sull’intero sistema istituzionale e sui rapporti tra stato e cittadino”. E insomma una bomba garbata e senziente sul giornale della borghesia. Il costituzionalismo è infatti tante cose. E Sabino Cassese ha saputo scrivere, per il Mulino e per Laterza, pagine magnifiche di storia dello stato italiano attraverso la storia dello stato fascista, pagine sul problema della democrazia in Italia, sulla crisi dello stato, e come Calamandrei anche Cassese sa dire che i magistrati devono essere bocca della legge. Grande professore, dunque, giurista amministrativista, allievo di Massimo Severo Giannini, conoscitore dell’amministrazione dello stato, ministro tecnico con Ciampi, accademico di caratura internazionale, emerito della Normale di Pisa, uomo mite e borghese senza esperienze di parte o di partito.

 

Di Cassese si dice che sarebbe “il perfetto presidente della Repubblica”, quello descritto ieri da un Financial Times che, preoccupato dalla confusione italiana, ha rievocato la figura di Ciampi e lodato quella di Napolitano. “Carlo Azeglio Ciampi, presidente dal 1999 al 2006, e il suo successore e attuale capo dello stato, Giorgio Napolitano, sono stati esempio di quanto c’è di degno, buono e onorevole nel loro paese”, ha scritto il quotidiano britannico. E poi: “L’Italia chiuderà il semestre di presidenza europeo il 31 dicembre e Napolitano non intende lasciare fino a quando l’Italia non avrà adempiuto a tutte le sue responsabilità europee. Ma si sentirà molto la mancanza della saggezza del presidente, del suo coraggio e del senso di responsabilità pubblica, in Italia così come all’estero. Il forte senso del dovere è il motivo per cui Napolitano, come Ciampi, è una figura così rispettata. Gli amici italiani devono augurarsi che il prossimo presidente sappia essere all’altezza di Napolitano”. Ci vorrebbe insomma, dice il Financial Times, un garante del fatto che lo sforzo, alto, unitivo e arbitrale espresso da Napolitano non andasse smarrito, un uomo come Cassese, appunto, amico di Napolitano e collaboratore di Ciampi, un costituzionalista per il quale il costituzionalismo non è ideologia di guerra, precauzione contro la volontà politica della nazione iscritta nelle liste elettorali, titolare di un Diritto che oggi fa la legge e domani vorrebbe fare la storia.

 

[**Video_box_2**]Nel 2013 Cassese è stato giudice relatore sulla questione del conflitto d’attribuzione tra poteri dello stato sollevato da Silvio Berlusconi nei confronti del tribunale di Milano, l’ufficio giudiziario che avrebbe poi condannato il Cavaliere per frode fiscale nella vicenda dei diritti televisivi Mediaset. Ebbene, Cassese diede torto a Berlusconi, e senza mai diventare un militante dalle tre narici, senza mai brandire la Costituzione come fosse un’arma da sfasciare sulla testa di qualche outsider malcapitato. E infatti l’irreprensibilità personale di Cassese non si forma a scapito dell’intelligenza delle cose e di una calma visione della politica anche nell’esercizio del diritto nella Consulta: casi celebri quelli dell’immunità o del legittimo impedimento per le alte cariche in cui Cassese seppe mediare con senso di dottrina e di realtà situazioni oggettivamente complicate, come anche nella questione delle intercettazioni abusive del Quirinale che lo contrappose, come sempre senza strepito ma con fermezza, a Zagrebelsky. Chapeau al Corriere che lo ha tolto a Repubblica.

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