Le donne e lo Stato islamico secondo Vincino

“Le donne siano senza testa”

Umberto Silva

Queste mie povere parole sono dedicate alle ragazze curde morte per salvare i propri figli dai porci dell’Is. Alcune soldatesse sono state sgozzate e la testa gettata nella polvere, il messaggio è preciso: le donne siano senza testa.

Queste mie povere parole sono dedicate alle ragazze curde morte per salvare i propri figli dai porci dell’Is. Alcune soldatesse sono state sgozzate e la testa gettata nella polvere, il messaggio è preciso: le donne siano senza testa. “Siano”, imperativo, dal momento che i tagliagole ben sanno che le donne la testa ce l’hanno, e di prima qualità. Camuffato da anticolonialismo e da guerra santa, l’odio che pervade i guerrieri del Califfato, e non solo, è in realtà l’apice di una misoginia di cui il burqa è il macabro scrigno. La testa della donna va celata perché i suoi occhi sono pieni di vita e di desiderio, una vita e un desiderio di cui i bruti pretendono l’esclusiva: le donne hanno il compito di servirli, di donare a loro quel piacere di cui costoro in realtà non sanno che farsene, orbi che non possono gustare la bellezza, sordi che non intendono la poesia. Non finisce qui. Rinunciando all’amore delle donne, i misogini di questa rinuncia si vendicano, accanendosi in particolare sulle più colte o che tali aspirano a diventare: studentesse rapite e seviziate, dottoresse scannate a Mosul. In mille modi i tagliatori di teste fanno pagare alle donne il disastro della propria viltà dinanzi all’amore, viltà che nessuna impresa bellica può riscattare. E’ nell’arena nuziale che si gioca la partita della vita, il letto è il campo di battaglia ove desiderio, audacia e maestria propiziano la gloria.

 

Sono le donne a far problema, il resto è la solita roba. Is chiama America e non vede l’ora di duettare con i soldati americani in un virile scontro nel deserto. “Venite codardi – non fanno che ripetere – venite e vediamo chi ce l’ha più lungo e più duro”. Obama ed Erdogan si stanno guardando come gli animali quando rizzano le antenne per vedere la mossa del vicino. Tutto un ammicco tra i due presidenti, il primo che fa la mossa si dichiara. Uno sguardo incrociato l’uno con l’altro dove la Siria e l’Iraq sono visioni laterali, sfuggenti come in certe patologie dell’occhio. Erdogan ha parlato con ostentati occhiali da sole; incuteva paura, era molto strano, un predatore; Obama si è nascosto lasciando all’allampanato Kerry il compito di spiegare che la straziata Kobane non rientra nei suoi progetti di vacanza. Intanto la stampa di ogni dove cerca come può di spartire le responsabilità in base ad ataviche colpe, ma è un mascalzone chi si accontenta di ripetere che in fatto di misoginia l’occidente si è comportato peggio dell’oriente allestendo i roghi per le streghe; certo che sì, ma proprio per questo ora deve riscattarsi intervenendo in difesa dei bambini e delle donne e accoppando gli assassini. Le donne non stanno con le mani in mano, mai lo sono state: per fortuna ci sono le streghe.

 

Le curde prendono le armi per difendere la civiltà che faticosamente hanno costruito nelle loro città e famiglie, e i tagliagole non sopportano l’idea di dover combattere contro una donna. Non si tratta di galanteria, di rispetto per la loro grazia e femminilità, quanto di disprezzo e repulsione per la contaminazione che sono costretti a subire. Combattere contro una donna è attribuirle una testa, un desiderio di vita che per realizzarsi può contemplare la morte dell’uomo che armato e ghignante le sta dinanzi. Un sacrilegio. Intollerabile per tanti uomini l’idea di essere odiati e, ancor peggio, disprezzati da una donna, una visione che ne ferisce il fragile narcisismo fatto di fatiscenti allucinazioni, patetiche vanterie, sgargianti turbanti senza turbamento né turbine. Califfi e ayatollah godono della lapidazione che schiaccia come gusci quelle testoline vuote, ma una pallottola nel cuore di una donna è troppo onore, un ingiustificabile spreco, una medaglia al martirio, un biglietto per il paradiso. E chi incontrarvi? Donne guerriere al posto delle compiacenti urì. La bellica democrazia atterrisce i tagliagole, che si sentono privati di ogni identità. Se uccisi da una femmina, come presentarsi nell’aldilà coranico senza incontrare la derisione dei colleghi? Il buco della pallottola sanguinerà senza tregua, una ferita diversa dalle altre, una macchia fatale come il rossetto che le amanti stampano sul colletto delle camicie degli amati.

 

Nei funesti disegni della sharia la donna è stata creata per dare piacere all’uomo e per non riceverlo. Può un figlio consolarla? Badino piuttosto a educare alla ferocia il piccolo guerriero, che un giorno disporrà di loro. E quando copulano stiano ben attente: una donna che gioisce può infastidire, e tanto. Che avrà mai per stare così allegra? Non siamo nel corrotto occidente ove, da qualche tempo, i maschi, mai troppi, si premurano di donare alle donne un po’ di godimento… salvo poi rinfacciarglielo con parole taglienti quanto una lama di coltello. Eh sì, la misoginia è più epidemica dell’ebola, nessuno ne è esente, è un vizio originario che può essere attutito con grandi sforzi ma mai completamente estirpato. Perché? Perché una donna che con un sorriso, una considerazione intelligente, un intervento deciso, s’illumina della gioia di esistere e parlare, suscita il rancore, o almeno il fastidio, di tanti uomini in ogni parte del mondo? E’ così bella una donna che ride, sorride, canta, danza, troppo bella, perché si fa così bella, per chi tutta s’illumina, per la mia faccia da coglione?, pensa il misogino e sospetta che no, non è per la sua faccia ma per qualcun altro. La donna se la fa con il diavolo, questo è il sospetto, anzi la certezza. Ed è proprio così: lei fornica con il peggiore dei diavoli, quello che l’uomo crede essere il suo amico, schiavo, padrone della sua anima, nume, essenza stessa del suo essere, e che invece scopre traditore: il pensiero. Le donne trescano col pensiero, un doppio tradimento: quella stupida puttana, quell’oca senza cervello, gli ha carpito il migliore amico di sempre. Nel notturno silenzio di un letto senza gioia e nella diurna cella di un burqa arroventato, la donna viaggia altrove; ininterrottamente copula con il Creato e con gli Dei, grazie a una testa ben più aguzza del pene del suo aguzzino. La donna custodisce una sessualità che va oltre il sesso; incontrollata e incontrollabile, per quanto la si spii e si cerchi di estorcerla non la si conosce, non la si cattura. Questo è l’incubo del misogino, la sua ossessione: egli sa che per quanto cerchi di umiliarla costei mai smette di pensare. Cosa? Di strettissime vedute e moltissimi timori, l’uomo è convinto che la donna pensi a lui, a come fargli del male. Fallica è per costui la donna pensante, una scimitarra in agguato. Sapesse quanto piuttosto la donna desidera salvarlo da lui stesso, da quell’imbecille che implacabilmente diventa a furia di pensare all’odio di lei pur di non ammettere il proprio.

 

Conosciamo i tanti modi con i quali un uomo evita a una donna il peccato di godere: in oriente, in Africa e altrove s’indulge in odiose chirurgie, ed è pur sempre un gran bel piacere togliere a quelle schifose il loro piacere. Pensavano grazie al clitoride di farla franca? La masturbazione femminile è per il codardo lo sfregio più intollerabile; che una donna possa preferirgli le proprie fantasie è abominevole. Non che, una volta edotto, costui si dia da fare, tutt’altro, farà di peggio, si renderà del tutto meschino, lamentoso, disgustoso, noioso, prepotente, avaro di ogni sentimento che non sia la stessa avarizia. Pensa così, per la sua miserabile accortezza, di meritare un godimento infinito; pensa anche – se pensiero lo si può chiamare – che la donna puntualmente glielo sottragga, come una ladra di quelle che s’aggiravano per l’antica Baghdad. Si convince che la propria infelicità dipende dalle trame femminili, dai calcoli e dalla perfidia, sicché, sempre previdente, a sua volta trama, calcola, infierisce. Mille sono i capi d’accusa che riversa contro la donna, mille i modi con cui costei si adopererebbe in velenose magie per regalargli l’insopportabile tristezza che – è luogo comune – lo pervade in particolare dopo il coito. Ma anche prima e durante. Sospetta che la donna si faccia beffa di lui e dedichi a qualcun altro il suo pensiero desiderante, e in effetti pensa giusto: per quanto ella possa sforzarsi lui le risulta troppo meschino. “Ho venti donne una più bella dell’altra, dodici Ferrari e un fisico perfetto, perché sono infelice? Quale veleno per misteriose vie mi è propinato?”. Uno che parla così, che invece d’interrogarsi accusa, sia costui arabo, messicano o milanese, non merita il piacere; e se non lo merita non l’avrà. Ma allora, a chi altro la donna offre le sue grazie? Questa immagine lo eccita terribilmente; il beffardo contrappasso del sultano, o del commendatore, che pensa di tenere in pugno la sessualità della moglie o della favorita è di dovere accontentarsi delle briciole di eros che la donna pietosa gli fa trovare lungo il suo delirio di gelosia, arrivando a inventarsi mirabolanti pseudo tradimenti pur di farlo felice. 

 

[**Video_box_2**]Il piacere non lo si può attendere o tantomeno esigere dall’altro, il piacere è qualcosa che in ciascuno nasce per i suoi meriti. E’ un premio per quel che si dona, se lo si pretende come un atto dovuto si trasforma in punizione. Per far piacere all’uomo spesso le donne vistosamente simulano il loro: ch’egli si creda potente, capace di farle godere. Un altruismo che può generare spiacevoli equivoci. L’uomo può pensare che la donna sia “di piacere”, addestrata a donarsi agli uomini. La guarda con sospetto, in fondo preferisce la donna che neppure finge piacere o che addirittura finge di non provare piacere, o di disdegnarlo, in modo di rassicurare il partner sulla castità dei propri costumi. Ma “Nynphomaniac” di Lars von Trier ricorda come nessuna donna sia ingorda quanto una frigida. E così il misogino non ha pace, ama la guerra santa, la più indiavolata delle guerre, quella che si scaglia contro la religione delle donne, l’amore. Qualsiasi cosa la donna faccia è sospetta, anzi, colpevole. La sua colpa è di affermarsi con tutta la sua complessità, il suo mistero, la malizia e la bontà che s’intrecciano in deliziose maschere. Onore e gloria alla forza dalle donne yazide catturate dai tagliagole e che sopravvivono all’orrore perché riescono “a staccare la testa dal corpo”. Il loro corpo è stuprato ma la testa no, resta pensante e pensa innanzitutto a quel che accade al corpo, gli parla, lo consola, lo incoraggia. Martiri queste donne, testimoni della propria grandezza. Pur nel dolore che è loro inflitto pensano, un pensiero estraneo e superiore all’altrui voglia. Pensano il dolore, lo fanno diventare altro, quell’imprendibile Altro. A questo punto il bruto impazzisce di rabbia. Si accorge che la donna è viva, e questo diventa insostenibile. “Che hai tu stronza”, grida il marito accoltellando la moglie, “che hai da ridere così?”. Sì, le donne ridono anche da morte.

 

Fa bene all’anima vedere i giovani militari israeliani aprire la Bibbia o il Talmud sui loro carri nei rari e sempre arrischiati momenti di quiete. Cosa sta leggendo ora quella soldatessa dal viso delicato e deciso? Legge la Genesi, un libro colmo d’impeto e destino: lo Spirito aleggia sulle acque e così nasce Israele, e la sua terra sta in cielo e il primo ebreo, il primo uomo, dormicchia beato. Su quale pagina della Bibbia la ragazza si sofferma? Su quella in cui Javhè crea Eva affinché Adamo si allontani dalla masturbazione e dalle bestie. Come ogni ragazzina, Eva è più sveglia e curiosa del ragazzo e trova gloria imperitura cingendosi dell’aureola di colei che spinge il bamboccione Adamo a uscire dalla casa del Padre. Se Eva non avesse convinto il suo uomo a mordere la mela dell’Albero della Conoscenza, Adamo ancora si accontenterebbe di un triste piacere senza desiderio, poltroneggiando in quel Paradiso Terrestre che tanto ricorda l’omerica isola dei lotofagi, dove i compagni di Ulisse si smarriscono e disertano l’impresa. Eva riesce dove in precedenza la prima moglie di Adamo aveva fallito per eccesso d’isteria; Lilith non ebbe pazienza, si ribellò e fuggì lasciando Adamo sempre più asservito ai suoi bisogni, a lamentarsi dell’infedeltà e perfidia delle donne. Eva è più desiderante di Lilith, non esige tutto e subito, punta al sodo, sa che ogni rivendicazione priva d’amore è destinata al nulla, tra dolori e rancori. Con quell’astuzia femminile che sarà poi ripresa in modo ben più cruento da un’altra donna fascinosa quanto determinata, Judith, ampiamente Eva si dona ad Adamo, sicché a sua volta egli possa concederle quel che c’è di più importante, la fiducia. E’ confidando in Eva che Adamo osa finalmente fare il passo verso l’indipendenza e la responsabilità, mangiando quella mela che è tutt’altro che velenosa: è la Grande Mela, la città di Dio e dell’uomo ove tutto va conquistato con il sudore e l’intelligenza della fronte. “Delectatio quippe quasi pondus est animae”, ci sorride Sant’Agostino.

 

Uno strano Essere che somiglia a un serpente, anche se ha mani e braccia, presiede a questa meravigliosa cerimonia d’iniziazione. Si conclude un’eterna infanzia – “in fans”, senza parola –, si annuncia il primo compito di Adamo: nominare le cose. Quel misterioso serpentiforme personaggio non è il diavolo, come certa tradizione insiste, quanto il greco dàimon, colui che provoca, dapprima Eva e con lei Adamo, e Javhè, cui tanto piace recitare la parte del burbero benefico: caccia i due figlioli, aprendo loro le porte dell’esistenza. Il tanto esaltato Paradiso Terrestre era Artificiale era una malinconica droga; la Cacciata un gesto d’amore: se Javhè avesse perdonato i suoi figli la loro storia e quella degli umani non sarebbe mai avvenuta. Tanto tempo dopo Gesù evocherà tutto questo nella parabola del Figliol Prodigo, che fa ritorno alla paterna casa povero di denari ma carico di racconti che il Padre non vede l’ora di ascoltare. Il Serpente sorride e ci sprona ad altre storie. Ma tanti uomini ruminano, sinistro il loro sguardo, e quando pensano alle donne una smorfia sfregia il loro volto. Adamo non ha ancora perdonato Eva per avergli offerto l’occasione di esistere e di amare.

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