Un fotogramma del sermone del califfo nella moschea di Mosul dello scorso luglio. In rosso le guardie del corpo di al Baghdadi mescolate alla folla

Morto quattro volte

Come funziona l'apparato di sicurezza di Baghdadi

Daniele Raineri

Radio protette, procedure prese dai servizi segreti e una “bolla” di soli iracheni.

Roma. Negli ultimi tre giorni si sono rincorse “notizie senza conferma” sulla possibile morte di Abu Bakr al Baghdadi, capo dello Stato islamico. La causa della confusione sono due raid aerei avvenuti in Iraq nello spazio di poche ore a più di 200 chilometri di distanza, uno ad al Qaim, sul confine con la Siria, e uno vicino Mosul, nel nord del paese. Entrambi sono stati collegati alla fine di Baghdadi, ancora tutta da dimostrare (i gruppi del jihad di solito non nascondono le morti, anzi le sbandierano. Ma questa volta il caso è critico e potrebbe richiedere più tempo).

 

Fonti del governo iracheno parlano del ferimento del capo del gruppo islamista, ma è già la quarta volta quest’anno che viene colpito. Le precedenti sono state a febbraio (ferito a una gamba a sud di Baghdad), a luglio e a settembre (ucciso in raid aerei). La notizia di luglio che descriveva Baghdadi gravemente ferito e in fuga verso la Siria arrivò soltanto due giorni prima della sua apparizione pubblica, solenne e coreografata, per pronunciare la khutba, il sermone della preghiera del venerdì, dal pulpito della moschea più grande di Mosul.

 

Il Pentagono è cauto. In questo tipo di operazioni contro i cosiddetti Hvt (high value target, i bersagli che contano), spesso una squadra delle forze speciali è inviata sul posto a raccogliere qualche prova che dimostri l’identità di chi è stato ucciso. In questo caso non è successo ed è un segno che il Pentagono non ha avuto abbastanza preavviso per organizzare una missione specifica (in queste settimane gli aerei americani improvvisano spesso e colpiscono se inquadrano bersagli militari, com’era il convoglio di dieci veicoli distrutto venerdì notte) oppure che ritiene la zona bombardata così pericolosa da essere inaccessibile. Secondo fonti del Foglio, il convoglio si trovava sulla strada tra Mosul e Mishraq, circa 25 chilometri a ovest della città.

 

[**Video_box_2**]Come funziona l’apparato di sicurezza che protegge Abu Bakr al Baghdadi? Fino all’anno scorso il capo dello Stato islamico non si nascondeva più di tanto nelle sue peregrinazioni tra Siria e Iraq e anzi ostentava un carattere molto sicuro: testimonianze sulla sua presenza o sul suo passaggio non erano così rare come si potrebbe pensare. Un giorno nella sua città natale, Samarra, un altro nella città siriana di Raqqa (il Foglio ne ha contate almeno sette). Quest’anno lo scenario è cambiato, c’è troppa sorveglianza aerea e attenzione dei media, le sue apparizioni si sono azzerate (fatta eccezione per luglio, a Mosul). L’afflusso di volontari da quasi ogni parte del mondo pone un problema di sicurezza enorme per la leadership. Tra le decine di nuove reclute ogni mese potrebbero nascondersi infiltrati, a cui basterebbe segnalare la posizione e gli spostamenti (potrebbe essere andata proprio così nel raid di venerdì sera). Inoltre, lo Stato islamico non fa selezione all’ingresso, vale a dire che non applica sui candidati quel processo rigoroso di verifica chiamato tazkiyah – come invece fanno i rivali di al Qaida. Alcuni capi di tribù irachene si sono vantati un paio di mesi fa di avere piazzato “centinaia di talpe” dentro il gruppo di Baghdadi quando hanno perso parte dei “loro” territori.

 

L’apparato di sicurezza interna che protegge il leader è affidato a ex ufficiali dell’intelligence irachena dei tempi di Saddam Hussein, che hanno portato dentro il gruppo le stesse procedure che usavano quando lavoravano per il governo baathista di Baghdad. Lo Stato islamico ha abbandonato le comunicazioni normali, come telefonate e sms. Si teme che gli uomini di Baghdadi abbiano preso come bottino di guerra numerose Sincgars (Single Channel Ground and Airborne Radio System), radio militari americane quasi impossibili da intercettare, che erano state date in dotazione ad  alcuni reparti dell’esercito iracheno.

 

Una unità specializzata dello Stato islamico si occupa di uccidere i sospettati di tradimento e gli elementi di pericolo interno – l’unità conta 200 uomini, ma questo è un numero che non può essere verificato. Al Baghdadi continua a essere diffidente con chiunque non appartenga al circolo iracheno che si è creato attorno a lui tra il 2010 e il 2012, quando lo Stato islamico era al suo minimo storico, battuto e messo sotto schiaffo dalle forze di sicurezza. Oggi è probabile che Baghdadi si muova soltanto dentro una bolla di conoscenze irachene di lungo corso ed eviti il contatto con i battaglioni formati quest’anno con gli stranieri e con gli ultimi arrivati.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)