Mario Draghi (foto Ap)

L'ultima vittoria del “kaiser”

Alberto Brambilla

Draghi ha respinto leak e frondisti. La Bce è “unanime”, e c’è il bazooka per rianimare l’Eurozona.

Ieri doveva essere il giorno della fronda contro Mario Draghi. Il giorno in cui una parte dei governatori, membri di peso del consiglio direttivo della Banca centrale europea etichettabili come falchi filo tedeschi, si sarebbe alzata in piedi per esprimere plateale dissenso verso le politiche innovative intraprese dal governatore dell’euro arrivato ai suoi primi tre anni di mandato. In assenza di nuovi annunci di politica monetaria, come ampiamente atteso, tutti gli osservatori erano interessati al “conflitto più violento della storia della Banca centrale europea” (Federico Fubini, su Repubblica di ieri), conflitto dal quale il Banker in chief sarebbe uscito a pezzi. Invero è accaduto l’opposto: Kaiser Draghi, come lo battezzò il quotidiano tedesco Handelsblatt, conserva lo scettro. Ha smentito coi fatti quei resoconti di stampa che lo descrivevano “assediato” dalla maggioranza dei componenti del direttivo, i quali, coperti dalla garanzia dell’anonimato, nei giorni scorsi avevano confidato all’agenzia Reuters di essere pronti a frenare qualsiasi azione irrituale di Draghi, ogni tentativo “più coraggioso di combattere la deflazione e la stagnazione in Eurozona”. Indiscrezioni da leggere come spia di un dissenso interno più ampio di quanto intuissero i mercati – che alle “voci” avevano reagito mandando in fibrillazione Lady Spread – e, specularmente, della sopraggiunta impossibilità per Draghi di raccogliere il consenso necessario a procedere con nuovi stimoli all’economia. I governatori di Germania, Olanda, Lussemburgo, Lettonia ed Estonia – si è capito in seguito – avrebbero contestato lo stile draghiano, l’eccessiva autonomia, il basso grado di collegialità delle scelte strategiche (tale da fare rimpiangere il più malleabile Jean-Claude Trichet) e si ripromettevano di farlo sapere allo stesso Draghi mercoledì sera alla cena che precede ogni riunione del direttivo. Come già detto, niente di tutto questo si è trasformato in realtà: durante la conferenza stampa – l’ultima presso l’Eurotower: lo staff traslochera nelle nuove torri nell’Ostend di Francoforte per lasciare il posto ai funzionari della vigilanza – Draghi ha risposto per le rime. A cominciare dalla cena, dove si è parlato dell’indipendenza dei banchieri nazionali, della franchezza delle decisioni e della chiarezza delle comunicazioni ai mercati: “E’ andata meglio del previsto, la discussione migliore che abbiamo mai avuto”, ha detto Draghi (è seguito un cordiale botta e risposta con l’incalzante giornalista di Reuters che aveva collezionato i velenosi leaks).

 

“I disaccordi sono normali, ma non c’è una linea che divide nord e sud. Non esistono coalizioni”, ha aggiunto, e la dimostrazione plastica di ciò è scritta nel comunicato finale della riunione di ieri dove si dice che le decisioni discusse sono state prese “all’unanimità”. Decisioni non immediatamente operative ma significative per la strategia futura della Bce, che studia le “lezioni delle altre Banche centrali” per poi agire di conseguenza: lezioni come quella della Banca del Giappone che ha appena ripreso acquisti massicci di asset pubblici e di quella americana che, al contrario, li ha fermati e ora discute della exit strategy. Ferme restando le enormi differenze sia degli scenari di partenza e sia della capacità d’azione, la Bce si appresta ad andare controcorrente rispetto alla Federal reserve, ovvero a espandere il suo bilancio, ultima tra le grandi Banche centrali a farlo (la Bank of Japan l’ha raddoppiato rispetto a due anni fa, quello della Fed è quadruplicato rispetto al 2007).

 

[**Video_box_2**]Draghi aveva già fissato un obiettivo in proposito: il nostro bilancio arriverà ai livelli di inizio 2012, disse a Jackson Hole. Un’uscita che i frondisti gli contestano perché gli accordi, dicono, erano diversi, ed era preferibile non dare indicazioni al mercato e, comunque, non erano stati informati di quell’annuncio. Ieri Draghi ha rincarato la dose, è tornato sul punto ed è stato più preciso: il bilancio della Bce arriverà ai livelli di marzo 2012, significa che ci saranno acquisti di asset per circa mille miliardi di euro, come già in realtà prevedevano in molti. Il tutto grazie alle misure annunciate nei mesi scorsi o in partenza: i prestiti alle banche condizionati alla ripresa del credito (Targeted long term refinancing operation), l’acquisto dei covered bond e delle obbligazioni Asset backed securities (Abs) in mano alle banche. Quest’ultima operazione comincerà “presto” e forse coinvolgerà le singole Banche centrali nazionali. Qui Draghi si è preso un’altra rivincita, ricordando ai falchi dell’Accademia tedesca come Hans-Werner Sinn, presidente dell’Ifo di Monaco, che l’acquisto di titoli cartolarizzati non farà della Bce una “bad bank”, come ipotizzato da Sinn sulla Frankfurter Allgemeine; una visione in linea con quella di Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze tedesco. Si tratterà di titoli garantiti e con un rischio default irrisorio (non sono i derivati dei mutui subprime), ha detto Draghi ricordando un rapporto dell’agenzia di rating Fitch (“La Bce assume un rischio minimo con gli Abs”) che riconosceva l’approccio prudenziale dell’Istituto centrale.

 

Non che basti a fare cambiare idea a Sinn e compagnia giacché “quando le prove si scontrano con la fede, non hanno nessuna possibilità”, ha detto con sarcasmo il banchiere romano. Se le azioni intraprese dalla Bce non dovessero bastare – altra notizia rilevante – il consiglio “è stato unanime” nel prendere ulteriori decisioni al punto che “è stato dato mandato allo staff della Bce di preparare nuove misure se necessario”. Una specie di ipoteca sul possibile acquisto di titoli pubblici (Quantitative easing in stile americano), atteso dalla maggiore parte degli analisti entro l’anno prossimo, che ha contribuito a indebolire l’euro e ha riscaldato per qualche ora le Borse europee – solo Milano ha chiuso sotto la parità, poco sopra le altre. Sull’umore degli operatori hanno pesato le stime dell’Ocse che certificano lo stallo della crescita economica in Eurozona (“un rischio rilevante per la crescita mondiale”). Draghi ha insomma vinto sui frondisti, ma non ancora sui governi indolenti oppure su quelli refrattari a sostenere la Bce. La partita del Kaiser è lunga.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.