Umberto Bossi (foto LaPresse)

Se il dito medio diventa un fine

Salvatore Merlo

Solo Umberto Bossi, con la sua Lega di secessione e di governo, ha fatto eccezione nel nulla rumoroso dei neopopulismi della destra territoriale europea. Per lui il dito medio era un mezzo, non un fine.

Solo Umberto Bossi, con la sua Lega di secessione e di governo, ha fatto eccezione nel nulla rumoroso dei neopopulismi della destra territoriale europea. Per lui il dito medio era un mezzo, non un fine. Il vecchio senatore, rapido e spregiudicato, tra il folclore delle ampolle e i travestimenti con corna celtiche, nel 1994 si collegò a quella emergenza anomala chiamata Silvio Berlusconi, e senza mai dismettere la canotta di Calandrino, furbo del contado, entrò al governo. Nel Palazzo, Bossi, portò l’odore penetrante del sigaro, fin dentro i ministeri, nei corridoi, nelle stanze delle segreterie generali. Maneggiò dunque il potere e il denaro pubblico, conquistò RaiDue e ordì la trama romana, modificò codici, riti, consuetudini, stravolse anche la sintassi del potere (e non solo quella del potere). Poi forse ci fece poco, e anche il mito del federalismo, che un tempo sedusse persino Massimo D’Alema, si è ormai trasformato da utopia in distopia. Eppure se oggi la Lega governa la Lombardia e governa anche il Veneto, se il movimento del cappio esposto in Parlamento oggi tira i fili dell’Expo e amministra le terre più ricche d’Italia, se insomma questo partito del nativismo settentrionale, fermentato in birreria contro “negher” e “terùn”, può ancora esercitare la sua funzione, se può ancora determinare i destini della sanità e della politica fiscale in cospicue città come Milano e Verona, se tutto questo è possibile, è grazie a Bossi, al fiuto ribaldo che lo portò ad Arcore e dunque a Palazzo Chigi, eccezione d’Europa.

 

Un tempo c’era l’austriaco Jörg Haider, fenomeno di politica e di costume, anche lui nativista, xenofobo, per qualcuno filonazista, governatore della traboccante Carinzia, padre d’un partito che nel 1999 fu il secondo più votato d’Austria. Ma il partito di Haider, di quei voti, oltre un milione e duecentomila, non seppe che farsene, come sembra capitare in tutta Europa nel ribollire inesausto dei movimenti protestatari che si gonfiano di tremolii crisaioli e inettitudini eurocratiche: l’anti islamismo olandese di Geert Wilders, l’eurofobia dell’inglese Nigel Farage. A Londra, Farage quasi vince le europee, ma non conquista un solo seggio a Westminster. E in Olanda Wilders esercita una notevole capacità di condizionamento sulla socialdemocrazia olandese, ma è fuori, lontano dalle decisioni che contano, dal governo e dalla sua scienza, come Alba Dorata in Grecia.

 

[**Video_box_2**]Ed è così pure in Francia, per la dinastia Le Pen, che guida con carisma il Front national: forza d’interdizione, massa abbaiante lontana dalle istituzioni, incapace d’incidere, di muovere le leve e dunque di plasmare la società: prima il vecchio Jean-Marie, con i suoi trentennali alterni successi alle europee e le sue inesorabili, brucianti sconfitte alle politiche. Poi sua figlia Marine: 24,5 per cento dei voti per Strasburgo. Ma poi, a Parigi? Poi boh. E sarà pur vero, dunque, che Matteo Salvini supera Beppe Grillo nei sondaggi di gradimento, sarà pur vero che la sua Lega nazionale, un po’ verde Padania e un po’ nero Salò, raccoglie tanta della schiuma protestataria. Ma per farci cosa? Grillo non ci ha fatto niente, e ora perde voti e si perde nelle bislacche profezie di Casaleggio. Così il vecchio Bossi scuote la testa, dice che “Salvini è un leoncino nello zoo”. E anche Flavio Tosi, il sindaco leghista di Verona, si preoccupa: “Senza il centro, la destra non vince”. Ma se non si vince, se non si governa, se non si amministra, alla fine della politica resta soltanto il dito medio. E i voti, come una bibita gassata, si trasformano nel propellente per un fenomenale rutto nell’universo.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.