Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

Gentiloni il freddo

Nicoletta Tiliacos

La famiglia cattolica ma risorgimentale. La militanza studentesca e verde. Il tennis le Clarks la fedeltà al barbiere e agli amici. Il ministro degli Esteri visto da vicino. Lo presentano indebitamente come cattolico, per via delle origini famigliari. Ma è da sempre su posizioni laicizzanti.

Uno dei più entusiasti, alla notizia che Paolo Gentiloni era stato nominato a sorpresa ministro degli Esteri nel governo Renzi, è stato il nostro smagato Vincino. Entusiasta e festoso come un bambino, all’idea che il suo vecchio direttore ai tempi del mensile di Legambiente, La nuova ecologia (“un direttore fantastico, una persona magnifica”), e oggi renziano di ferro e della prima ora, andasse a occuparsi di qualcosa che, per chi lo conosce da un po’ di anni, sembra fatto apposta per uno come lui. Ma è anche stata, la nomina agli Esteri di Paolo Gentiloni Silverj – classe 1954, romano di origini marchigiane, famiglia nobile di Tolentino, una giovinezza nei gruppi e nei giornali della sinistra extra Pci e poi tra i fondatori della Margherita e del Partito democratico – l’occasione per misurare la distanza tra certe vulgate e la realtà. Chi lo cataloga come cattolico, per esempio, tira conclusioni troppo frettolose dalla sua appartenenza alla stessa famiglia di Vincenzo Ottorino Gentiloni Silverj, il presidente dell’Unione elettorale cattolica italiana che nel 1913 siglò con i liberali di Giovanni Giolitti il cosiddetto “Patto Gentiloni”, cioè il superamento del “non expedit” di Pio IX e l’ingresso dei cattolici nella vita elettorale italiana. Il nuovo titolare della Farnesina è innegabilmente cresciuto in una famiglia cattolica, e fino a quindici anni, come ha raccontato in un’intervista a Vittorio Zincone, gli capitava anche di insegnare religione ai bambini con l’amica Agnese Moro, figlia dello statista democristiano. Ma oggi non è pedissequamente annoverabile tra i “cattolici in politica”. Anzi. Fin dai tempi della Margherita, le sue posizioni si sono segnalate per essere quasi sempre il contraltare laicizzante di quelle sostenute dal leader dell’epoca – e suo grande amico – Francesco Rutelli. Nel 2005, per esempio, in occasione del referendum sulla legge 40, Gentiloni – che già si era opposto in Aula – andò a votare per la sua abolizione, diversamente dagli esponenti cattolici della sua formazione (e in barba alla riedizione riveduta e corretta del “non expedit” da parte dell’allora presidente della Conferenza episcopale italiana, Camillo Ruini). E anche all’epoca della proposta sui Pacs, i patti di solidarietà tra omosessuali conviventi e coppie di fatto eterosessuali, Gentiloni si schierò a favore.

 

E’ vero, però, che quando il sindaco di Roma Francesco Rutelli dovette affrontare la decisiva partita del Giubileo, nominò fiduciario e assessore proprio il suo portavoce Gentiloni, che fu il vero interfaccia con le autorità vaticane. Era accompagnato da singolari credenziali, non solo politiche: un suo antenato diretto (a differenza del collaterale Ottorino), il musicista Domenico Gentiloni Silverj, faceva parte della Guardia nobile del Papa e compose nel 1846, in occasione dell’elezione di Pio IX (un altro marchigiano, Giovanni Maria Mastai Ferretti), l’opera intitolata “L’Armonia religiosa”, che fu eseguita per la prima messa celebrata dal nuovo Pontefice a San Pietro. L’inno che vi era contenuto (oggi conosciuto come “La melodia delle trombe d’argento”) fu regolarmente usato in Vaticano nelle occasioni più solenni fino al 1970, quando fu soppresso nell’ambito della riforma della corte pontificia voluta da Paolo VI, per essere in seguito ripristinato nel 2008, per volontà di Benedetto XVI.

 

Anche Domenico Gentiloni Silverj era stato a suo modo un eccentrico. Guardia nobile del Pontefice, si diceva, ma anche ammiratore e amico di Vincenzo Gioberti e di Massimo d’Azeglio, nel 1849 aveva aderito alla Repubblica romana. Dopo il ritorno del Papa fu espulso (comprensibilmente) dalla Guardia nobile, ma riuscì in seguito a essere totalmente riabilitato. Nel 1857 divenne primo cittadino di Tolentino (carica in precedenza ricoperta dal fratello), e passerà alla storia della sua città come l’ultimo sindaco dello Stato pontificio e il primo del nuovo Regno d’Italia, senza soluzione di continuità. Perché al loro arrivo, nel 1861, i piemontesi lo riconfermarono. Oggi, a gioire per la nomina di Gentiloni alla Farnesina ci sono – il campanile non è acqua – anche il sindaco di centrodestra della sua città, Giuseppe Pezzanesi, il quale su Cronache maceratesi loda “la professionalità e le doti umane” del neo ministro. E c’è anche il lontano cugino, oltre che capogruppo Ncd in Regione, Francesco Massi Gentiloni Silverj.

 

[**Video_box_2**]In una genealogia ideale di Paolo Gentiloni, insomma, c’è lo Stato pontificio ma c’è anche Garibaldi (il quale soggiornò a Tolentino, nel palazzo della famiglia Gentiloni, nel 1849), e un antenato garibaldino, Aristide Gentiloni Silverj. Non bisogna neanche dimenticare che uno zio di Paolo, Filippo Gentiloni, è un noto e autorevole osservatore (sul quotidiano il manifesto e su testate come Rocca e Confronti) dei rapporti tra religione, politica e società, sempre da posizioni di forte impronta riformatrice e di sinistra.

 

Grande amico del neo ministro è Ermete Realacci, compagno di avventure politiche e di partito, oltre che sul campo da tennis e al tavolo di poker (“dove però vinco quasi sempre io”, ci tiene a precisare Realacci). Secondo lui, “proprio perché Paolo viene da una famiglia seriamente cattolica è uno che non scherza con queste cose, e le prende sul serio anche se se ne è distaccato. Penso, non solo perché sono suo amico, che Paolo Gentiloni ministro degli Esteri sia una fortuna per l’Italia, perché oltre a essere competente ha un forte senso dell’onore nelle cose che fa”. Nemmeno un difettuccio? “Io gli dico, sfotticchiandolo, che è un po’ troppo felpato. Dopo più di trent’anni di amicizia e di cose fatte insieme – è stato anche il mio testimone di nozze – ormai so che anche di Jack lo squartatore Paolo sarebbe capace di dire cose del tipo: ‘Ha comportamenti un po’ eccessivi’, e non più di questo. E’ pacato ma non malleabile, non sgomita ma è solido. Non sempre siamo in perfetta sintonia – lui è molto più moderato di me – ma credo che sia una risorsa vera per il paese. E non mi pare di dire nulla di nuovo, quando dico che la caratteristica umana saliente di Paolo è la fedeltà”.

 

L’amico di vecchia data Dario Laruffa, giornalista del Tg2 (“ci conosciamo da quando avevo ventidue anni e Paolo ventiquattro”), racconta che una volta fecero insieme un viaggio a Napoli: “Io indossavo degli improbabili stivali camperos, lui le Clarks. Ancora me lo ricorda, affettuosamente divertito. Ma non è di certo uno snob. Quando era assessore al Giubileo, facemmo una passeggiata lungo il Tevere. Io mi lamentavo di problemi sul lavoro, lui mi disse semplicemente: ‘Ti manca una squadra. Sei un solitario, il che ti dà meno vincoli ma anche meno solidità’. Ecco, credo che questa sia una parte importante della ‘filosofia Gentiloni’, e anche la spiegazione di quella fedeltà e lealtà che è difficile non riconoscergli”.

 

Fedele, dunque. Perfino al vecchio barbiere di fronte al palazzo romano di piazza san Bernardo, dove vivono ancora molti Gentiloni Silverj, dove Paolo ha sempre vissuto e dove abita tuttora con la moglie Emanuela Mauro, architetto, sposata nel 1988. All’epoca in cui era direttore del mensile di Legambiente, dal 1984 al 1992, le sue colleghe in redazione (tutte donne, tanto che l’amico etologo Enrico Alleva lo chiamava “Mister Y”, nel senso dell’unico cromosoma maschile perso tra molte “XX”) lo vedevano arrivare ogni tanto con la folta capigliatura (che conserva, elegantemente ingrigita) martoriata da feroci e apparentemente casuali colpi di cesoie. Lui, alle puntuali rimostranze delle amiche che gli consigliavano di cambiare parrucchiere, diceva che andava da quel barbiere da quando era piccolo e non se la sentiva di tradirlo. Per il resto, comunque, nel variegato e sciamannatissimo panorama del movimento verde, ecologista e pacifista italiano, che Gentiloni ha frequentato a lungo, si distingueva per sobrietà, eleganza tradizionale senza affettazione, uso di mondo e, ancora una volta, grande flemma. Alcune sue colleghe lo ricordano in un tempestoso pomeriggio passato in fotocomposizione, quando si doveva chiudere il numero del mensile. Tempestoso in senso stretto, perché una pioggia senza tregua aveva fatto saltare i tombini e il capannone dove era ospitata la tipografia, a Ponte Marconi, sulle rive del Tevere, nel giro di pochi minuti si era tragicamente allagato. Gentiloni, senza scomporsi, sigaretta all’angolo della bocca (poi ha smesso) e pantaloni già rimboccati al polpaccio, continuava a controllare le ultime correzioni, prima di essere portato via, quasi di peso, dai tipografi.

 

[**Video_box_2**]All’ambientalismo, Gentiloni era approdato dopo la militanza nel Movimento studentesco, poi nel Pdup, e dopo l’esperienza nel mensile Pace e guerra, diretto da Luciana Castellina, Stefano Rodotà e Claudio Napoleoni. Lì, dopo la laurea in Scienze politiche, si occupava precisamente di esteri, e poteva usare a man bassa la sua ottima conoscenza dell’inglese, del francese e perfino del tedesco (c’è chi lo ricorda mentre diligentemente faceva i compiti che gli venivano assegnati ai corsi seguiti al Goethe Institut). Sempre di esteri ha continuato a occuparsi quando la testata fu trasformata in settimanale, con Michelangelo Notarianni che si era aggiunto in direzione e con l’eurodeputata Luciana Castellina che spesso, nei suoi incontri politici in giro per l’Europa, portava con sé proprio Paolo Gentiloni, uno dei pochissimi capaci di interloquire senza imbarazzi in inglese e in francese, con chiunque.

 

Le posizioni di Pace e guerra, organo che voleva far concorrenza al manifesto da sinistra, erano fieramente antiamericane, contro l’installazione dei missili in Europa voluta dal presidente repubblicano Ronald Reagan (praticamente il diavolo, per P&G), pro Arafat, pro sandinisti nicaraguensi e chi più ne ha più ne metta. Con l’amico e sodale politico Roberto Giachetti (il più vicino, oggi, a Gentiloni, insieme con Realacci), proviamo a misurare l’acqua passata sotto i ponti da quei tempi: “So che Paolo sarà un ottimo ministro degli Esteri, perché non gli fa difetto il senso della realtà. In questi anni, prima con Rutelli, poi con Veltroni e ora con Renzi, la sua funzione è stata anche questa, di richiamo alla concretezza. Una funzione che è stata esercitata piuttosto dietro le quinte, a parte il periodo in cui Gentiloni ha ricoperto il ruolo di presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai e quello in cui è stato ministro delle Comunicazioni”. Tanto dietro le quinte, che qualcuno lo aveva dato addirittura per precocemente prepensionato. Non solo per via dell’anagrafe, ché in tempi di rottamatori i sessant’anni in arrivo (il prossimo 22 novembre) non sono precisamente un atout, così come non lo è l’essere stato già ministro in governi precedenti… “Ma in realtà il suo valore, nel nostro partito, lo conoscono tutti. Non sono d’accordo con il fatto che il ministro degli Esteri debba essere un ‘tecnico’. Che cosa sarebbe un ‘tecnico’ degli Esteri? Un diplomatico? Un ministro prende decisioni politiche, e Gentiloni, che nell’ultimo anno ha fatto parte della commissione Esteri della Camera, è un politico puro. Perfino nella squadra di Matteo Renzi, dove il taglio generazionale è così evidente, ed è evidente la filosofia di consentire a persone giovani di acquisire esperienza di governo, avere un riferimento come Paolo è qualcosa di fondamentale”. Per Giachetti, Gentiloni è “una sorta di fratello maggiore. Anzi, un estintore”. Prego? “Ma sì, quando parto in quarta lui mi parla e mi convince a ingranare una marcia più prudente”. Della linea politica che sarà seguita del nuovo ministro, Giachetti dice che l’aspetto filoamericano e filoisraeliano delle sue posizioni (Gentiloni ha incassato la soddisfazione per la sua nomina da parte della comunità ebraica italiana) sarà gestito con realismo e (se ne poteva dubitare?) con la solita pacatezza: “E comunque lui non ha mai un aproccio superficiale ai dossier. Figuriamoci a quelli, davvero impressionanti, che si troverà ad affrontare nella sua partita da ministro”.

 

A proposito di partite: nel dicembre del 1993, Rutelli vinse la sfida per il Campidoglio contro Gianfranco Fini (la sua campagna elettorale era stata curata proprio da Gentiloni). La mattina delle elezioni, per allentare la tensione, Gentiloni giocò un doppio a tennis (c’erano anche Realacci e Chicco Testa). Da allora, ogni volta che si votava e fino ad anni recenti, la partita scaramantica si è ripetuta, nella stessa formazione (ma forse, azzardiamo, non sempre con gli stessi risultati).

 

Degli antidiluviani ma puntualmente evocati anni del Tasso – il liceo romano molto di sinistra dove Gentiloni ha studiato e dove, nel 1970, fu folgorato sulla via del Movimento studentesco dopo lo sgombero violento di un’occupazione da parte della polizia – i suoi ex compagni ricordano un ragazzo ancora una volta flemmatico, freddo, quasi defilato (ma erano anni in cui la pacatezza non era certo una virtù: andavano forte i barricaderi più gesticolanti e assertivi). In quello stesso periodo, nel liceo di via Sicilia, oltre al futuro direttore di Limes, Lucio Caracciolo, e al già cinefilo Marco Müller, studiavano i coetanei Marco Follini (democristiano), Antonio Tajani (monarchico) e Maurizio Gasparri (Fronte della gioventù). Quando, nel 2006, ormai ministro prodiano delle Comunicazioni, Gentiloni presentò un disegno di riforma della legge Gasparri in cui si dettavano regole per limitare la raccolta pubblicitaria dei singoli operatori e per il passaggio al digitale terreste che furono da Berlusconi definite “criminali” e “banditesche”, Gasparri ricordò gli anni del liceo e definì Gentiloni “portatore sano di rancore”. Lui – pacatamente – notò invece, sempre nell’intervista a Zincone sul magazine del Corriere della Sera, che al Tasso “i non di sinistra erano così pochi che si sono fatti strada. Darwinianamente”. Un attestato di ammirazione (o forse il contrario) per quei tre  che avevano continuato a nuotare controcorrente quando era davvero complicato farlo.

 

Pacatissimo, Gentiloni si è dimostrato anche nella battaglia (persa) nelle primarie per l’elezione a sindaco di Roma, nel 2013. Combattute senza risparmio di energie, come è nel suo stile, lo videro terzo classificato dopo Ignazio Marino e David Sassoli (oggi credo che in molti rimpiangano, a Roma, gli effetti di quel risultato, anche, per non dire soprattutto, in casa Pd).
Per quanto riguarda il nuovo ministro degli Esteri italiano, anche il passaggio dal catechismo insegnato con Agnese Moro alla politica di sinistra estrema reca la singolare impronta Gentiloni Silverj. Dopo lo sgombero del Tasso, nel novembre del 1970, Paolo scappò di casa per andare a Milano e partecipare, il 12 dicembre, alla manifestazione per il primo anniversario della strage di piazza Fontana. Prima di partire, però, aveva informato della sua meta il prete gesuita del liceo, Tommaso Ambrosetti, in modo che potesse avvertire i genitori. Vale a dire il padre avvocato, Carlo Alberto – terzo di quattro fratelli – e la madre Maria Berica Venturini, di origine veneta, lontana parentela con la famiglia dell’autore di “Piccolo mondo antico”, lo scrittore risorgimentale Antonio Fogazzaro. Una mamma solare e molto amata (morì ancora giovane, negli anni Ottanta), con la quale da bambino e ancora da adolescente, Paolo, la sorella maggiore Chiara e il fratello minore Filippo – che vive in Messico con la famiglia ormai da molti anni – andavano a sciare sull’Alpe di Siusi (oggi Gentiloni e la moglie Emanuela preferiscono invece, per fare sci di fondo, le Alpi austriache).

 

Juventino non forsennato ma convinto, gran lettore di autori americani e grande amante della buona cucina e del buon vino (ma a commuoverlo più di ogni altra prelibatezza, per sua stessa ammissione, è il mirabile salume delle sue parti, il morbido ciaùscolo), Gentiloni può contare su una piccola ma fedele “banda” di amici (ai già citati, vanno aggiunti almeno i compagni di partito Linda Lanzillotta, Michele Anzaldi e Lorenza Bonaccorsi, oltre all’ex collaboratrice dai tempi di Nuova ecologia, Silvana Novelli). Ma chi lo conosce, sa che anche la moglie Emanuela è la vera colonna nella sua vita, e non si sta facendo letteratura rosa. E dire che era riuscito addirittura a perdere l’anello durante il viaggio di nozze, cosa considerata micidiale, nella cabala matrimoniale. Solo dopo parecchio tempo, la fede rispuntò dalla sacca da viaggio dove era finita. Un attimo di distrazione, forse l’unico, nella vita di Gentiloni. Che altro dire? Nato sotto il segno del Sagittario – legato all’estero, alle cose lontane, al centauro filosofo e atleta Chirone – appare, se ci è consentito, assistito anche astrologicamente come meglio non si potrebbe. In bocca al lupo.