Barack Obama (foto LaPresse)

Oggi si vota in America

Il Gop pregusta la vittoria ma litiga sulla strategia anti Obama

I numeri danno i conservatori vicini alla conquista del Senato. Gli intransigenti vanno già all’attacco dell’establishment. Il partito del “grande muro”

New York. Nelle dichiarazioni pubbliche affettano la prudenza che si conviene alla circostanza, ma i repubblicani aspettano con trepidazione i risultati del voto di oggi non tanto per stabilire chi saranno i vincitori e chi i vinti, piuttosto per considerare se si tratterà di una vittoria semplice oppure di un trionfo. La scienza inesatta delle previsioni elettorali dice che nel fine settimana sono aumentate le possibilità di agguantare otto seggi al Senato – sei sono quelli necessari per strapparlo ai democratici – e secondo l’Election Lab del Washington Post il Gop avrà 53 senatori e 243 deputati: sarebbe la maggioranza repubblicana più ampia dal 1929. Jonathan Martin del New York Times spiega che se i conservatori “otterranno 12 seggi o più alla Camera, per i democratici riconquistarla sarà molto difficile almeno fino al prossimo ricalcolo dei distretti elettorali, nel 2020”. Se anche la Silicon Valley come scrive il Wall Street Journal, cerca sponde a destra per aggirare l’immobilismo assistenzialista dei democratici significa che il vento soffia chiaramente in una direzione.

 

E’ tutta una questione di margini, e il complicato meccanismo del midterm potrebbe impedire di avere un conteggio preciso fino al prossimo anno, considerando che due sfide decisive al Senato, in Louisiana e Georgia, potrebbero finire al ballottaggio. Non è un segreto, tuttavia, che le conversazioni all’interno del Partito repubblicano siano tutte incentrate sull’organizzazione della leadership al Congresso e sulla strategia per rendere l’andatura di Barack Obama nei prossimi due anni anche più periclitante di quanto non sia già. Se il Senato si sposterà a destra andrà affrontata innanzitutto la questione della leadership, e su questo il consenso interno già scricchiola. Mitch McConnell, capo dell’opposizione attuale e gran veterano del Senato, è la scelta ovvia, naturale. I sondaggi lo danno in vantaggio sulla giovane sfidante Alison Lundergan Grimes, ma non è chiaro come l’elettorato del Kentucky reagirà alla massiccia campagna di distanziamento dalle posizioni di Obama della candidata democratica. Una vittoria, tuttavia, non basterebbe a garantirgli una transizione pacifica verso la leadership.

 

[**Video_box_2**]Il senatore Ted Cruz, esponente dell’ala giovane e intransigente del partito, con la solita irruenza comunicativa ha fatto sapere che non appoggerà McConnell a scatola chiusa. La corrente del partito che Cruz esprime vuole sfruttare la probabile conquista del controllo del Congresso per ingaggiare una battaglia a viso aperto contro Obama, senza compromessi né giochi politici. Per Cruz la purezza ideologica va difesa anche a discapito dell’efficacia legislativa. Obiettivo supremo: “Revocare l’Obamacare”. E quando Cruz dice “revocare” non intende emendare, smussare, modificare le linee guida o altre perifrasi che McConnell, uomo d’establishment, predilige. Su questo punto, ovvero sulla postura strategica da tenere nei confronti di Obama per capitalizzare la maggioranza che verrà, se verrà, il Gop è profondamente diviso.

 

L’eredità sperperata di Reagan - Gary Silverman ha scritto sul Financial Times che “il Grand Old Party si è trasformato nel Great Wall Party”, il partito del grande muro, definito più dalle barriere che vuole imporre che dalle visioni positive che promette di realizzare. Barriere alla frontiera, barriere sulle leggi che regolano il voto, barriere sulla riforma sanitaria. Quella del muro, scrive Silverman, è una categoria che non aveva posto nella visione del mondo di Reagan, e non soltanto in riferimento a Berlino. Era un “american dreamer” che “guardava in alto  e avanti, verso un futuro con pochi limiti”. Il conservatorismo di Reagan era un orizzonte spalancato, non un muro di cinta che separa e difende. L’osservazione di Silverman si può applicare anche alla logica del partito, che si occupa dei muri interni di separazione anche alla vigilia di un voto che promette di ridisegnare la maggioranza parlamentare a suo favore. Cruz segnala una forma di insofferenza forse anche per un prematuro calcolo politico in vista del 2016, ma intercetta una divisione che nemmeno una vittoria elettorale può sanare.

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