Paolo Gentiloni e Giorgio Napolitano (foto LaPresse)

Er governo Rutelli

Il caso Gentiloni svela i nuovi rapporti di forza Renzi-Napo.

Claudio Cerasa

La partita sulla Farnesina, le tattiche incrociate, le ragioni di una scelta. La decisione arriva alla fine di un percorso complicato in cui Renzi e Napolitano hanno messo in campo due strategie contrapposte.

Roma. La trattativa stato-Leopolda, trattativa giocata in questi giorni con il fioretto e la baionetta tra Palazzo Chigi e il Quirinale sul successore di Federica Mogherini al ministero degli Esteri, si è conclude ieri mattina alle 10.30 quando il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio individuano nel profilo di Paolo Gentiloni il nome giusto su cui puntare per occupare l’ultima casella rimasta sguarnita nel governo Leopolda – o se volete ner governo Rutelli.

 

La scelta (anticipata ieri dal Foglio) di affidare a Paolo Gentiloni la guida della Farnesina arriva alla fine di un percorso complicato in cui Renzi e Napolitano hanno messo in campo due strategie contrapposte che vale la pena spiegare per inquadrare meglio la natura degli equilibri di questo governo. Renzi, per rispettare l’equilibrio di genere, aveva inizialmente pensato a una sostituzione naturale per rimpiazzare la fassiniana (AreaDem) Federica Mogherini, ovvero Marina Sereni, anche lei fassiniana, oltre che maestra di Mogherini nei Ds. La valutazione su Sereni è però improvvisamente cambiata, e all’inizio della settimana, per lanciare la vera candidata di Palazzo Chigi (l’ambasciatore Belloni), il presidente del Consiglio ha mescolato le carte gettando nella mischia, ma solo come volano, la trentaduenne, e deputata del Pd, Lia Quartapelle.

 

[**Video_box_2**]La logica seguita dal premier non è piaciuta a Napolitano (che voleva a tutti i costi un politico puro) e di fronte alla candidatura della Belloni il presidente ha esposto al segretario del Pd lo stesso genere di obiezione sollevata a febbraio quando Renzi propose al Quirinale il nome di Nicola Gratteri per il ministero della Giustizia. Sintesi del ragionamento, in perfetto stile Max Weber: in democrazia il sistema funziona se ognuno resta al suo posto, la burocrazia deve fare il suo mestiere, non può pensare di vestire i panni della politica e se i magistrati devono fare i magistrati gli ambasciatori devono fare gli ambasciatori. Renzi, pur di non promuovere Lapo Pistelli (di cui fu portaborse nel 1999, con cui scrisse persino un libro, “Ma le Giubbe Rosse non uccisero Aldo Moro”, e con il quale ha un rapporto complicato dagli anni in cui i due si sfidarono, nel 2009, alle primarie per il comune di Firenze), butta nella mischia la dalemiana Marta Dassù (ex sottosegretario agli Esteri con Enrico Letta) ma Napolitano, pur avendone stima, non la considera adatta per quell’incarico (non per questioni personali, ma perché non è politica) e chiede a Renzi di non insistere con la parità di genere a tutti i costi di proporre un altro politico. E’ la sera di giovedì e Renzi propone, con successo, la carta Gentiloni. La scelta dell’ex ministro delle Telecomunicazioni del governo Prodi (2006-2008), attuale membro della commissione Esteri, presidente della sezione Italia-Stati Uniti dell’Unione interparlamentare, ha un suo rilievo politico: non tanto per le questioni statistiche (con Gentiloni, dopo Luca Lotti, Roberto Giachetti, Erasmo De Angelis, Gianpiero Bocci, Luigi Zanda, Giuliano Da Empoli e lo stesso Renzi, la truppa di ex rutelliani nel giro del governo si ingrossa) o per le questioni di colore (Gentiloni, dopo Pinotti, è il secondo ministro arrivato al governo dopo aver ottenuto un terzo posto alle primarie per correre da sindaco nella sua città) o per le questioni interne al Pd (a oggi i ministri ex Ds puri restano Andrea Orlando, chissà per quanto, e Roberta Pinotti) ma per questioni più strettamente politiche.

 

Con Gentiloni (apprezzato dal Quirinale anche per la sua buona conoscenza delle lingue straniere, ne parla tre: francese, inglese, tedesco) alla Farnesina cambia molto: e se il profilo di Mogherini era figlio anche di un vecchio modo tipico della cultura dei Ds di intendere la politica estera (tutto impostato sull’equidistanza, sia con Israele e la Palestina, sia con l’America e la Russia), con Gentiloni la Farnesina, sulla carta, torna a essere più amerikana, più atlantista e persino più filo israeliana. Napolitano apprezza Gentiloni ma non si può dire che questa sia una vittoria del capo dello stato. E la storia della nomina del nuovo ministro degli Esteri ci dice molto anche di come siano cambiate le dinamiche tra governo e Quirinale: a inizio legislatura le carte le dava il presidente; oggi le carte le dà Renzi. I rapporti di forza sono cambiati. E sarà anche per questo che oggi il presidente del Consiglio si augura che Giorgio Napolitano resti al Quirinale il più a lungo possibile.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.