Jean-Claude Juncker e Jyrki Katainen (foto LaPresse)

Katainen e Juncker, di professione piccoletti d'Europa, che ci menano duro

Mario Sechi

Stazione Leopolda. Piazza San Giovanni. Tutti pensavano che la partita fosse in quei due campi da gioco: bella ciao e comizio novecentesco, Fabio Volo e iPhone. Ma quella decisiva dell’Italia è sempre altrove, in trasferta, al nord: Bruxelles, Francoforte, Berlino.

Stazione Leopolda. Piazza San Giovanni. Tutti pensavano che la partita fosse in quei due campi da gioco: bella ciao e comizio novecentesco, Fabio Volo e iPhone. E’ durata lo spazio d’un sabato, l’illusione del match finale giocato in casa, delle curve viola gigliate e delle bandiere rosso antico, delle borsettate in diretta tv tra Rosi Bindi e Debora Serracchiani. Domenica quella scena tra calcio fiorentino e palla prigioniera è svanita. Ha lasciato il posto alla realtà: la partita decisiva dell’Italia è sempre altrove, in trasferta, al nord: Bruxelles, Francoforte, Berlino. Clima rigido. Campi ghiacciati. Squadre ricche e organizzate. Che stress test.
Lassù al nord, nella remota Europa, signori e signore in grigio scorrono i dati degli stress test della Bce sulle banche italiane: nove banche bocciate nel 2013 e due, Monte dei Paschi e Banca Carige, dovranno cercare denaro fresco alla velocità della luce. Siena. Genova. Là nacquero i primi banchieri d’Europa. Fine della giostra. Sono sotto attacco i forzieri del debito pubblico, 400 miliardi di titoli di stato nel ventre molle del sistema. Inizio dell’ottovolante in Borsa. Ottimi argomenti per chi sostiene la politica del rigore e l’austerità di bilancio per l’Italia, too big to fail, ma anche too big to bail. Troppo grande per fallire, troppo grande per essere salvata. Che succede? E’ partita la controffensiva a Matteo Renzi. Troppi voti per un italiano solo. Pubblica le lettere della Commissione Ue. E il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, risponde che bisogna “evitare il quarto anno di recessione”. Lesa maestà. Leggere titoli e toni della stampa anglosassone. I test della Bce sono interpretati come la bocciatura di un’intera classe dirigente. Ma quale? E come si risponde?

 

Stazione Leopolda. Piazza San Giovanni. Citare Fanfani sì. Rieccolo, come no, ma forse in un simile scenario è più utile rileggere il nostro Sun Tzu, quel Gramsci non più trendy neppure a Piazza San Giovanni, giusto per ricordarsi di “conoscere l’avversario” e non “sottovalutarlo” perché altrimenti scopri la tua debolezza. E chi sono gli avversari? Nomi e cognomi: Jean Claude Juncker e Jyrki Katainen, che dagli stress test escono con la faretra piena di frecce da scoccare contro l’Italia. Il flemmatico presidente della Commissione e il suo vice armato di spada laser sono gli avversari di Renzi. Un lussemburghese e un finlandese sintonizzati su Radio Merkel.

 

La cancelliera tedesca ha uno schema di gioco collaudato, ruvido, concreto: Jens Weidmann presidente della Bundesbank marca stretto il capo della Bce, Mario Draghi; Juncker e Katainen randellano tutto quello che si muove sopra l’erba dei paesi del Club Med; Wolfgang Schäuble, il responsabile delle Finanze tedesche, entra in scivolata su ogni ministro dell’Economia dell’Eurozona che prova a scattare in contropiede e, quando serve, raddoppia la marcatura su Draghi. Merkel arriva dopo, ai supplementari, con calma, sorridente, si siede al tavolo quando l’avversario è sfiancato, trema, ha mille dubbi, non ha dormito. Teoria e pratica dello sfinimento.

 

[**Video_box_2**]Stazione Leopolda. Piazza San Giovanni. Più che a Bindi e Camusso, bisogna prendere le misure a Juncker e Katainen. Il primo è uno degli architetti dell’euro, enfant prodige, tosto e diplomatico, il più longevo primo ministro in carica in Europa finché in casa non gli è scoppiata una grana di spie e ricatti e ha dovuto lasciare la seggiola. Tutti guardano a lui come se fosse un tedesco e in parte è vero perché è uno spietato esecutore-regista degli schemi di Berlino, ma è stato ed è anche una delle figure chiave del Granducato che contende il primo posto alla Svizzera nel podio del Financial Secrecy Index: il Lussemburgo. Luogo fatato, scenario perfetto per un racconto tra Dr Jeckyll e Mr Hyde, il Lussemburgo promuove con Juncker la trasparenza bancaria in Europa, poi punisce con la prigione la violazione del segreto in patria. Dopo gli Stati Uniti, è il secondo centro per i fondi di investimento nel mondo, 2,5 trilioni di patrimonio gestito, 140 banche con 800 miliardi di asset in portafoglio. Minuscolo è maiuscolo. Paese fondatore dell’Europa, fa finanza asimmetrica contro l’Eurozona, ancora alla ricerca di un’armonia nel pieno caos fiscale. Un banchiere mi disse: “Le cose sono più forti degli uomini”. Ecco, le “cose” del Lussemburgo sono più forti della biografia ufficiale del presidente Juncker. L’Italia – considerata inaffidabile, infestata da sciami di evasori e dal Moloch della spesa pubblica – in questa classifica dell’elusione è al 54esimo posto e rappresenta appena l’uno per cento nel settore mondiale dei servizi finanziari off-shore. Il posto del passeggero nel sidecar dell’economia dell’Eurozona è di Katainen. E’ il braccio armato del Ppe nella Commissione, è un luterano che scartavetra giudizi durissimi sui paesi mediterranei, il pittoresco Olli Rehn al confronto è un dilettante. Da primo ministro Katainen ha governato la Finlandia con fermezza, ha chiesto durezza, riforme, rigore, austerità, il Financial Times nel 2008 l’ha incoronato re delle Finanze in Europa, poi qualcosa è andato storto, la Finlandia (5,4 milioni di abitanti, circa 256 miliardi di dollari di pil) ha cominciato ad annaspare, Standard & Poor’s qualche giorno fa ha abbassato il credit rating del paese e il successore di Katainen, Alexander Stubb, ha giustificato così la faccenda di fronte alla Bbc: “iPhone ha ucciso Nokia e iPad l’industria della carta”. Tutta colpa di Apple! Smartphone e tablet sono sufficienti per abbattere l’economia della Finlandia. Nani e giganti. Fatti e amnesie sull’Italia che non è un covo di bucanieri, ma una nazione con 60 milioni di abitanti e un prodotto interno da 2 trilioni di dollari. Renzi non dirà mai che l’economia italiana è andata a carte quarantotto per colpa del BigMac. Ma i bilanci delle banche italiane sono più uguali degli altri.