Mario Draghi (foto LaPresse)

Ansia da stress test, chi trema, chi paga e chi spiffera i soliti leak

Alberto Brambilla

E’ certo che il sistema bancario europeo subirà cambiamenti drastici a partire da questa domenica: concentrazioni, fusioni e perfino fallimenti.

Roma. E’ certo che il sistema bancario europeo subirà cambiamenti drastici a partire da questa domenica: concentrazioni, fusioni e perfino fallimenti. All’ora di pranzo del 26 ottobre la Banca centrale europea pubblicherà i risultati degli esami sui bilanci di 124 istituti di grandi e medie dimensioni della zona euro, circa l’85 per cento del totale. La European banking association (Eba) comunicherà quali sono le banche bocciate agli “stress test”, simulazioni congegnate per saggiare la resistenza degli istituti in due scenari economici, quello base (fondato sulle previsioni della Commissione europea) e quello avverso (una recessione durissima e prolungata). L’esercizio complessivo, “comprehensive assessment”, visto dalla Banca centrale europea rappresenta l’operazione di trasparenza più rigorosa mai realizzata per sapere come stanno le nostre banche: ci saranno morti e feriti.

 

“Le banche devono potere fallire”, aveva detto il presidente della Bce, Mario Draghi, altrimenti l’esame non sarà credibile. I test condotti dalla sola Eba nel 2010 graziarono le banche irlandesi, fallite poco dopo. I banchieri sanno già da oggi com’è andata, a qualche correntista invece il pranzetto domenicale potrebbe andare per traverso. Da settimane circolano indiscrezioni sulle banche in odore di bocciatura o con deficit patrimoniali importanti.  E la lista dei flop s’allunga a ogni “confidenza” riferita alla stampa. Tant’è che la Bce è intervenuta mercoledì con un comunicato dai toni perentori sconfessando qualsiasi speculazione per smorzare l’ansia degli operatori di Borsa. Venticinque banche falliranno gli esami, una dozzina di queste avranno bisogno di capitale, rivelano Bloomberg e Wall Street Journal. Ci sarebbero banche italiane, non tedesche o francesi. Sia come sia, gli istituti con carenze significative dovranno presentare entro quindici giorni a partire da domenica un “piano dettagliato” di rafforzamento da compiere entro il 2015. Il tutto sotto la sorveglianza della Bce che dal 4 novembre accentrerà nel supervisory board le funzioni di vigilanza ora affidate alle Banche centrali nazionali. Sul piatto ci sono 50 miliardi di euro di ricapitalizzazioni che si aggiungono ai 70 miliardi in aumenti di capitale già sostenuti negli ultimi dieci mesi. Chi è l’anello debole in Italia? Gli esami fanno riferimento ai bilanci chiusi a fine 2013, anno difficile. Molti analisti convergono nell’indicare il Monte dei Paschi di Siena tra i bocciati. Il titolo Mps in questi giorni ha toccato nuovi minimi storici salvo poi recuperare col turbo.

 

[**Video_box_2**]Il peggio sarebbe se la terza banca italiana dovesse prepararsi a sostenere il secondo aumento di capitale in meno di un anno, dopo quello record (5 miliardi) di giugno servito a ripagare parte dei prestiti ricevuti dallo stato e i relativi (salati) interessi. Altre banche di medie dimensioni sono sulla lista nera e hanno già chiesto soldi ai loro azionisti: Banca popolare di Milano (1,5 miliardi), la genovese Carige (800 milioni), Banco popolare (500) e Veneto Banca (500). Ci saranno dunque accorpamenti, fusioni e acquisizioni, a livello nazionale ed europeo. Per gli appassionati di risiko bancario sarà un periodo eccitante. Intesa Sanpaolo – che uscirà dai test come “la banca più forte d’Europa”, diceva il ceo Carlo Messina – pensa a un ruolo di “polo aggregante”. Il suo dominus Giovanni Bazoli ritiene le aggregazioni “una soluzione” per chi fallisce i test. E basterebbe pensare al Monte per cominciare a comporre un ipotetico risiko tricolore se non fosse che Banca d’Italia sarebbe contraria ad aggregazioni riparatorie. Si vedrà. Ma intanto: chi ha pagato per gli esami voluti da Mario Draghi? Il “comprehensive assessment” è stato uno sforzo senza precedenti, durato un anno, ha impegnato migliaia di funzionari tra Bce, Banche centrali nazionali e società di consulenza. La Banca d’Italia ha fatto uno sforzo importante: per condurre l’esercizio su 15 gruppi nazionali e 10 unità di istituti esteri ha infatti mobilitato le sue risorse umane (fino a 250 persone). E visti i tempi ristretti in relazione alla mole di lavoro s’è avvalsa per la prima volta di soggetti terzi chiamati a scandagliare i bilanci in profondità. Ciò grazie a un decreto governativo di febbraio che ha permesso all’Istituto di reclutare personale esterno; cosa vietata fino ad allora ma prassi comune nel resto d’Europa. L’apporto dei consulenti è stato pari a un terzo rispetto ai dipendenti assunti e il numero di consulenze è contenuto a confronto con altri paesi che invece hanno appaltato in massima parte gli sforzi.

 

Lo staff del governatore Ignazio Visco ha assunto l’americana Oliver Wyman per la parte più consistente delle pratiche, in quanto operatore reclutato dalla stessa Bce per condurre l’esercizio a livello centrale, e dieci società di revisione dei conti e di perizie immobiliari. E’ stato vietato loro di occuparsi delle banche di cui sono già clienti per evitare conflitti d’interesse; un gioco a incastri molto impegnativo giacché diversi soggetti sono revisori per più istituti mentre altri sono loro azionisti. Il costo complessivo è stimato in 30 milioni di euro: spese pagate dalla Banca d’Italia attraverso “risorse proprie” attingendo al suo patrimonio (pubblico) o al frutto di un secolo di attività di signoraggio, i redditi derivanti dall’emissione di moneta. Solo Banca d’Italia e Banca di Francia hanno pagato per conto degli istituti vigilati che negli altri paesi si sono accollati le spese. Nella classifica dei costi la Germania è in testa (fino a 480 milioni), seguono Francia (80), Olanda (da 42 a 61), Austria (30), Italia (fino a 30) e altri. Risorse che nell’ottica della Bce sono un investimento sulla catarsi di un sistema bancario opaco e ipertrofico. L’intera operazione è trattata alla stregua di un progetto militare, massima sicurezza nello scambio dei dati. Tuttavia basta poco a una fonte “ben informata” per riferire com’è messa una banca o, peggio, a dimenticare il laptop al pub, diceva a Reuters una delle persone coinvolte. L’ansia da stress test, comunque vada, continuerà.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.