Sabato prossimo la Cgil di Susanna Camusso ha convocato a Roma una giornata di mobilitazione contro il governo Renzi. Nello stesso giorno Renzi sarà a Firenze per la tre giorni della Leopolda

Faticoso ottobre rosso

Marianna Rizzini

Il 25 ottobre del 1917 è il giorno della presa del Palazzo d’Inverno (rivoluzione bolscevica). Il 25 ottobre del 2014 è il giorno della piazza Cgil-Fiom, altrimenti detta “piccolo thriller sindacale” nel videospot di quaranta secondi firmato Cgil e girato a Catania da Riccardo Napoli. Si chiama “Roma calling”: da due giorni circola per il web con altissime aspettative di promotori e partecipanti.

Il 25 ottobre del 1917 è il giorno della presa del Palazzo d’Inverno (rivoluzione bolscevica). Il 25 ottobre del 2014 è il giorno della piazza Cgil-Fiom, altrimenti detta “piccolo thriller sindacale” nel videospot di quaranta secondi firmato Cgil e girato a Catania da Riccardo Napoli. Si chiama “Roma calling”: da due giorni circola per il web con altissime aspettative di promotori e partecipanti (“tutti attori non professionisti”, recita la presentazione). Ci sono, nel video, vari precari e pensionati, una mamma con fantoccino in braccio (forse un bambino vero?), il lavoratore di un call center con ruolo da protagonista e un registratore anni Settanta che fa echeggiare per strada slogan renziani (dare a Renzi un’immagine vintage: che sia la tentata vendetta del sindacato accusato da più parti di essere “in ritardo di trent’anni?”). Nel video i precari, le mamme e i pensionati camminano in gruppo, figure mobili da “Quarto stato” incipiente, per poi non fermarsi davanti al suddetto registratore (chi vuole i diritti prosegue nella lotta, è il sottinteso). L’intento è quello di attirare gente anche dai meandri della rete, finora non proprio centrale nelle strategie sindacali. “Ai classici strumenti di militanza o di diffusione come i volantinaggi”, ha detto infatti Pina Palella della Cgil-Catania, “abbiamo pensato di affiancare un mezzo innovativo per far conoscere i nostri contenuti”. L’iniziativa “immediata e virale” è, per l’autore Massimo Malerba, la “dimostrazione” che il sindacato “sa accettare le sfide del cambiamento, anche per quanto riguarda il modo di comunicare”. Il resto lo fa lo slogan comparso sui manifesti in giro per Roma, con incomprensibile hashtag #tutogliioincludo” (tu Renzi, io Camusso?, ci si è chiesti, mentre Repubblica non riusciva a trattenere l’ironia: “Prima di arrivare a ‘tu togli io includo’ si passa per vari tentativi filologici: ‘tuto gli...’, ‘io cludo...’, ‘ogliio...’”). E alla fine l’offensiva internettiana targata Cgil pare una risposta non a Matteo Renzi, ma al comico Maurizio Crozza, che da mesi imita Susanna Camusso e Maurizio Landini dipingendoli come simpatici reduci del secolo scorso: uno col borsello l’altra col gettone telefonico, una che a scuola “ha fatto francese” (e non capisce la qualifica di “web designer”), l’altro che “sta incollato a questa calcolatrice Casio” (un cellulare); uno che vuole occupare le fabbriche già chiuse e l’altra che cerca nello Statuto dei lavoratori il “cococò” che “non esiste”. E alla fine fanno tutti e due la faccia sconcertata di chi si accorge di far parte di un universo inabissatosi senza troppi avvertimenti, senza neppure un parente volenteroso che procuri ai sopravvissuti ignari i souvenir del mondo che fu, per preservare la loro beata inconsapevolezza (come nel film del 2003 “Good Bye Lenin”, in cui un figlio ricostruisce nella camera della madre svegliatasi dal coma dopo il crollo del Muro di Berlino un’intera Ddr in miniatura: cimeli, vecchi giornali dell’ex Germania est, biscotti immangiabili, finti telegiornali, con l’illusione che la pantomima eviti alla signora convalescente lo scontro con la realtà mutata).

 

Fatto sta che il 25 ottobre, per Susanna Camusso, è già un trionfo. Ma chissà se nelle sue parole c’è anche dell’automotivazione (“un milione di persone” previste dal sondaggio Tecnè commissionato dalla stessa Cgil, ha detto Camusso, parlando di duemilatrecento pullman già pieni e di altri da “andare a prendere” all’estero, e poi trincerandosi dietro il paragone d’antan sugli “ottocentomila posti di lavoro” promessi dal governo Renzi: “Ne prometteva di più Berlusconi”). Ma la grancassa sindacale sui lavoratori che vedono nella Cgil “l’ultimo baluardo” contro l’avanzata del capitalismo selvaggio e sui torpedoni già in viaggio e sui traghetti già in porto (pronti a sbarcare dalla Sardegna) non riesce a oscurare l’impressione di déjà-vu e la sensazione, viva anche presso le stesse case promotrici dell’evento, che i prossimi manifestanti d’ottobre girino attorno al problema senza riuscire ad aggredirlo. E infatti qualche giorno fa il manifesto ha pubblicato un articolo a firma Enzo Scandurra (professore universitario e urbanista), in cui, parlando di “mutazione darwiniana del Pd renziano” (tesi: non sempre le idee che sopravvivono per “adattamento” sono le migliori, tuttavia bisogna farci i conti), si mettevano in guardia i compagni dall’arroccamento: attenzione, scriveva Scandurra, cerchiamo bene “di capire perché vince” il Pd di Renzi, “se non vogliamo fare la fine dei dinosauri, i quali, dopo aver dominato in maniera incontrastata il pianeta per 160 milioni di anni, diventarono ecologicamente insostenibili e si estinsero, lasciando il campo incontrastato ad altri viventi più adatti”.

 

Eppure, fino a un anno fa, un altro mondo pareva sempre possibile, in ottobre, tradizionale mese di rivoluzioni (presa del Palazzo d’inverno, appunto), e di manifestazioni, striscioni, assemblee, aule occupate, grandi parole, grandi bandiere e subitaneo risveglio di piazze in sonno, tanto che nell’ultimo baluginare d’estate, quando le città si ripopolavano ma ancora la stagione politica stentava a ripartire, di solito qualcuno dalla Cgil, dalla Fiom o dai collettivi studenteschi indiceva un corteo per il solito, imminente “autunno caldo”. Ogni ottobre conteneva il suo tranquillizzante sogno “di piazza” e di ipotetico rovesciamento: scolastico, operaio, politico, pensionistico, precario, artistico, culturale – ché pure i “tagli alla cultura” tornavano alla mente, guarda caso, nel momento in cui gli ultimi caldi lasciavano campo aperto ai primi temporali. Ma stavolta il 25 ottobre, giorno della manifestazione nazionale Cgil-Fiom a Roma, è qualcosa di diverso. E non solo perché non c’è un governo Berlusconi contro cui assemblare malcontento – non siamo più nel 2002, quando Sergio Cofferati, salutato come “papa nuovo” della sinistra, riempì il Circo Massimo che dieci giorni fa ha fatto da teatro alla mogia kermesse a Cinque stelle, altro mondo in rapido spappolamento anzichenò. Non è più lo stesso neppure lo stato d’animo degli oppositori gauchiste, fino all’avvento di Renzi eternamente speranzosi nella “rinascita” dell’ex “sinistra arcobaleno” (la “cosa rossa” più volte risorgente dalle ceneri): quella che, sotto la guida di Fausto Bertinotti, aveva coltivato il mito dell’essere “alternativa” al proto-renziano Walter Veltroni (fu poi sconfitta pesantemente nel 2008, quando rimase fuori dal Parlamento). La speranza era alta, in quel 2008, prima della rassegnazione alla “traversata nel deserto”. Erano altri giorni e altri panorami: Bertinotti non declamava ancora Thomas Eliot alle serate di Carla Fendi (accadde nel 2012) né si faceva filosofico detrattore di Nichi Vendola (accadde nel 2011, quando l’allora rampante governatore pugliese, futuro concorrente di Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi nelle primarie del centrosinistra, parlava amabilmente con il Pd di Bersani: “Saltare un giro è possibile”, diceva Bertinotti, sconsigliando a Nichi di salire su un “convoglio di governo”).

 

Ma ora il Circo Massimo e piazza San Giovanni (teatro del comizio finale del 25 ottobre) vengono associati, più che con i fasti d’un tempo, con il comico stanco Grillo che non fa più ridere, si issa sulla gru, vuole uscire dall’euro, espelle un tanto al chilo oppositori più disperati di lui (chi credeva nella democrazia diretta ora la vuole gestire in proprio – ottusità o illusione?) e infine esterna sugli immigrati portatori di malattie e si arrabatta per le vie di Genova, fuggendo in motorino alla prima contestazione di piazza, lui che era il mattatore superomista della piazza (e dei mari: pare passato un secolo da quando Grillo percorreva a nuoto lo stretto di Messina, sbarcando in una Sicilia più incuriosita che convinta dal portatore di novità).

 

Siamo alla vigilia del 25 ottobre di riscossa sindacale (destino crudele vuole che l’evento abbia luogo lo stesso giorno della Leopolda renziana) e i Cinque stelle, per recuperare visibilità, vorrebbero in parte accodarsi, solo che non possono (la bandiera è comunque della Fiom-Cgil, e il sindacato è stato una delle bestia nere per i grillini). Eppure ora il M5s difende l’articolo 18, angosciato com’è tra un’assemblea sulle espulsioni e l’altra, deluso e smarrito per l’allontanamento del sindaco di Comacchio, uno che un tempo era considerato simbolo dell’imminente successo nazionale, e di quattro attivisti che “volevano soltanto chiarezza sullo staff dal palco del Circo Massimo” (come scrivono, attoniti, i dissidenti a Cinque stelle). E se l’articolo 18 lo difende Beppe Grillo in persona, padre-padrone del Movimento perso nei suoi rivoli eco-sostenibili, la lotta pro articolo 18 tocca fare. E per quante “agorà” sul carbone assassino, sull’acqua minacciata e sulla vita autarchica abbiano fatto gli attivisti a Cinque stelle nel prato del Circo Massimo, nulla può evitare che Grillo colpisca al cuore la buona volontà dei suoi seguaci: infatti non teme di contraddirsi presso i sostenitori delle piccole e medie imprese che l’avevano votato proprio in virtù di una presunta forza anti sindacato e anti corporazioni, come non teme di infrangere il mito della vita democratica dal basso e sul web. E allora molti, nelle sacche della delusione, sono tentati dalla piazza, opzionata però dai nemici di prima: la Cgil, appunto, la Sel traballante di Nichi Vendola (spesso oggetto di post insultanti sul blog del comico), la minoranza Pd (trattata, sempre sul blog del comico, come propaggine dei partiti da buttare fuori dal Parlamento, ma anche arringata da Grillo al grido di “cosa aspettate a mandare a casa Renzi?”).

 

Ma il vero guaio, per gli uni e per gli altri, è il cambio inesorabile di fondale, paradossalmente anche per via del successo elettorale a Cinque stelle del febbraio 2013: dopo anni di antipolitica e di inni contro “gli sprechi”, dopo il passaggio dello “tsunami” e il tramonto montiano dei tecnocrati, la manifestazione del 25 ottobre “per il lavoro” indossa, già alla vigilia, una maschera dai connotati ibridi: i progressisti di una volta sembrano conservatori; gli anti casta sono un po’ tutti; i giustizialisti mediaticamente soffrono a prescindere (tranne che su MicroMega) e l’area cosiddetta “del dissenso” è contesa da sindacato, Sel, M5s, destre e Lega in una zona del campo politico sempre più ristretta e soggetta anche alla volubilità dei “clic” presso l’imprendibile – perché sempre mutante – pubblico del web.

 

[**Video_box_2**]Diversa, oggi, è la fisionomia stessa del nemico “dei lavoratori” (non più l’imprenditore in politica B., non più il Massimo D’Alema “riformista” e non più il Monti braccio “della Troika”), ma il Renzi “liberale” che “smantella”. Ieri Carla Cantone, segretario della Spi Cgil, lanciava l’allarme contro la norma della legge di stabilità che “si accanisce nei confronti degli anziani”, prefigurando “il posticipo al dieci del mese” del pagamento delle pensioni, ma non passa giorno che gli annunci di Renzi non vengano presi come occasione per mettersi le mani nei capelli (solo lamento?). Soprattutto, è diversa l’anima e la prospettiva del partito che era di “riferimento” per la Cgil (il Pd “liquido” di Renzi, l’uomo che vuole “tutti dentro” la stessa casa politica, ma all’americana, senza livelli intermedi, e che vuole accogliere i transfughi di Sel, di Scelta civica e di Grillo). Non è neppure più riconoscibile e comune il lessico della lotta, anche se un’ombra di eloquio da “Mimì Metallurgico” sopravvive in Maurizio Landini, il leader Fiom che, dopo aver mostrato una certa sintonia di modi con il premier, tanto da essere vissuto a un certo punto come anti Camusso, ora viene contestato dagli antagonisti torinesi che pure hanno condiviso la sua piazza: “Arrogante, ipocrita!”, queste le accuse che hanno investito il Landini che aveva parlato di una mano governativa dietro agli scontri con le forze dell’ordine durante il corteo Fiom piemontese, sabato scorso. “Ci rivolgiamo a voi operai, ma non al vostro segretario”, hanno detto ai metalmeccanici gli studenti e i precari, ed è uno dei segni della perduta omogeneità di un mondo che, almeno per forza d’inerzia, finora marciava unito. E Landini, che molti vorrebbero come figura “aggregatrice a sinistra”, pare rendersi conto della difficoltà dell’opera, quando parla nostalgico con il Fatto, intervistato da Silvia Truzzi: “… Oggi ricostruire un punto di vista comune è più difficile rispetto al 2002… adesso andare in piazza non basta… Il messaggio che bisogna mandare è che oltre alla manifestazione, oltre allo sciopero generale che va fatto, ci saranno altre iniziative per portare avanti un progetto alternativo a quello del governo”. Smentisce di essere papabile per una rediviva “cosa Rossa”, Landini, anche se non ha mancato di far arrivare il suo appoggio al rassemblement ancora informale che vede nella “sinistra dei diritti e del lavoro” il possibile grimaldello della catarsi: una settimana fa si sono riuniti a Roma vari “scontenti” anti Renzi, con l’intento di dare il la alla raccolta-firme per l’abrogazione del pareggio di bilancio in Costituzione (battaglia che piace a Landini). C’era Nichi Vendola, c’era Pippo Civati, c’era il professor Stefano Rodotà, c’era Legambiente, c’erano i parlamentari di Sel che non sognano la confluenza con il Pd, tra cui il possibile “erede” di Vendola nel partito vendoliano al momento in crisi, il molto invitato in tv Nicola Fratoianni. Sarà che oggi i post bertinottiani si trovano incagliati nelle stesse paludi in cui boccheggiano i loro ex fratelli-coltelli (quelli che nel 2013 si erano aggregati, con risultati fallimentari, attorno ad Antonio Ingroia): anche il tentativo della Lista Tsipras alle europee è andato così così, nonostante l’impegno del compagno greco in persona e nonostante la passione profusa (pure troppo: litigavano come matti) da professori, scrittori, intellò a vario titolo e giornalisti.

 

E insomma per Camusso, per Landini, per i “dissidenti” del Pd (Stefano Fassina, Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati), e per la sinistra a sinistra del Pd, il 25 ottobre è diventato anche un’ultima spiaggia psicologica, un girotondo attorno a se stessi: per contarsi, per consolarsi, per evitare di fare i conti con il fantasma dell’“atomizzazione” a sinistra – quella che gli imitatori mettevano in bocca al Fausto Bertinotti d’antan. I Cinque stelle intanto ieri ricevevano una specie di benservito dall’ex amico Fatto, per mano del direttore Antonio Padellaro, che in prima pagina parlava di Grillo come di uno che ha “un grande avvenire dietro le spalle” e che sta “disperdendo l’unica opposizione in una nuvola avvelenata di vendette interne e di sproloqui razzisti che Salvini al confronto sembra Madre Teresa di Calcutta”. “L’ultima barriera prima che lo statista di Rignano si pappi tutto è la piazza”, scriveva Padellaro, lanciando la ciambella di salvataggio ai manifestanti d’ottobre. Quelli che ieri, dalla Cgil, annunciavano carovane di lavoratori in arrivo, ma mettendo le mani avanti: “Nessun paragone può essere fatto con la mobilitazione del 2002”, dice Camusso. Ci sono in mezzo “sette anni di crisi e tre milioni di disoccupati”. Ed era l’ultimo atto dell’autoconvincimento (non siamo solo passerella di increduli davanti allo spappolamento del nostro mondo, no no, non preoccupatevi).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.