Gli ebrei antisionisti hanno trovato la loro terra promessa: Berlino

Giulio Meotti

Alcuni anni fa Benny Ziffer, responsabile delle pagine culturali di Haaretz, fece una proposta: per salvare lo spirito critico, tendenza antisionista, di Israele, bisognava che gli ebrei si trasferissero a Berlino.

Roma. Alcuni anni fa Benny Ziffer, responsabile delle pagine culturali di Haaretz, fece una proposta: per salvare lo spirito critico, tendenza antisionista, di Israele, bisognava che gli ebrei si trasferissero a Berlino. “Per salvare il popolo ebraico bisogna pensare seriamente a elaborare un piano di trasferimento di ebrei laici a Berlino, affinché vi costituiscano un polo alternativo a Israele”, scrisse Ziffer. E’ quello che sta accadendo adesso con la storia del budino. Naor Narkis, giovane israeliano che sviluppa smartphone, ha invitato i suoi concittadini a seguirlo a Berlino. Lo ha fatto con la pagina Facebook anonima dal titolo “Olim Le Berlin”, immigrati a Berlino, scimmiottando lo slogan ebraico comunemente usato per invitare le persone a trasferirsi in Israele. Si tratta di una guida pratica per tutti gli ebrei che vogliono espatriare da Israele e andare a vivere a Berlino, compreso il dizionario su come districarsi fra termini e concetti impronunciabili come “Haftpflichtversicherung” e “Sozialversicherungsnummer”.

 

Narkis vuole portare “200 mila ebrei israeliani” a Berlino. Il ministro delle Finanze, Yair Lapid, ha detto che “queste persone sono antisioniste”, mentre il ministro Yair Shamir, figlio dell’ex primo ministro, ha scritto: “Mi fanno pena gli israeliani che non ricordano la Shoah e abbandonano Israele per un budino”. Secondo il Canale Due, il trenta per cento tra gli israeliani è però tentato dall’idea di emigrare. Scrive Ben Caspit, firma del quotidiano Maariv: “Il costo della vita è scandaloso. E allora? E’ una ragione sufficiente per scappare e piantare le radici nella terra che si è imbevuta del sangue degli ebrei? Avete deciso di rinunciare a un sogno diventato realtà per riempire il carrello della spesa. Un popolo che ritorna dove è stato macellato ha perso l’autorispetto”. Nel 1996 l’appello al tradimento e alla fuga venne dalla rock star Aviv Geffen: “Dovete partire. Subito. Non sto scherzando. Non sono mai stato tanto serio: fate le valigie e lasciate immediatamente Israele”.

 

Un invito alla diserzione che in ebraico si chiama “yerida”, la discesa, ovvero il contrario della salita, l’aliyah. Uno studio della Bar Ilan University rivela che 100 mila israeliani hanno ricevuto il passaporto tedesco. In caso decidano di partire. “E’ il più grande gruppo di tedeschi all’estero”, dice Emmanuel Nahshon, vicecapo della missione diplomatica israeliana a Berlino. Più della metà vive all’est, in quello che negli anni Venti era una leggenda: lo Scheunenviertel abitato soprattutto da emigrati orientali, da un sottoproletariato poi decimato dalla povertà e dal nazismo. Rifiorisce sull’Oranienburgerstrasse la sinagoga dove si ricorda ancora l’ultimo concerto, il 29 gennaio del 1930, quando fra i suonatori, nel magnifico tempio illuminato da luce fioca, c’era anche Albert Einstein, che assieme a un medico suo amico eseguì musiche di Händel e di Bach.

 

[**Video_box_2**]L’editorialista israeliano Pinchas Landau ha scritto un articolo dal titolo: “La sindrome dell’esodo”. Ci sta pensando anche il professor Manuel Trajtenberg, l’economista a cui il governo israeliano ha commissionato lo studio sul costo della vita: “Berlino è più attraente di Tel Aviv”, ha detto l’accademico. “Nel corso della storia non si era mai visto un gruppo così numeroso di ebrei che abbia scelto di sradicarsi da casa”, scrive Landau. Yitzhak Rabin ebbe a definire gli israeliani che emigrano “una massa di buoni a nulla”. Era il 1981 e lo choc fu enorme: “L’emigrazione ha decimato le Forze armate israeliane”, si leggeva sulla stampa israeliana. In quattro anni erano state perse sei divisioni. Quell’anno emigrarono da Israele in 30 mila. Molti erano soldati della riserva.

 

Oggi l’emigrazione non è un fenomeno di massa, ma di qualità, e di propaganda antisraeliana. La storia di Berlino arriva nell’anno del numero più basso di sempre d’immigrati che raggiungono Israele. Nel 1990, al culmine della aliyah degli ebrei dai paesi della Cortina di ferro, 199.516 arrivarono in Israele, 43 nuovi immigrati ogni mille abitanti. Quest’anno sono stati 16.884, ovvero 2,1 abitanti ogni mille. Nel 2011 sono arrivati soltanto 16.893 immigrati, mentre 16.200 lasciavano lo stato ebraico per un anno o più. Intanto ogni anno la Germania da sola rilascia settemila passaporti a Israele. Duro Aluf Benn, direttore di Haaretz, rifugio della bohème pacifista israeliana: “La gente si trasferisce dove Hitler ha messo a punto la Soluzione finale e lo fa felicemente?”. Il tredici per cento della popolazione totale, fra 800 mila e il milione di israeliani, già oggi vive all’estero: il sessanta per cento in nord America, un quarto in Europa e il resto distribuito in altre regioni. Sul budino di Berlino arriva anche il commento al vetriolo di Yisrael Ha-Yom, il primo quotidiano ebraico: “Ci vediamo nelle camere a gas”. Il prossimo anno nella capitale tedesca potrebbe arrivare anche un sindaco di origine palestinese, Raed Saleh. Cosa c’è di meglio per suggellare l’alternativa all’assurdo progetto sionista?

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.