La crisi dei mercati non accenna a ridimensionarsi (foto AP)

Arriva un nuovo terremoto finanziario?

Redazione

I mercati drogati crollano, l’economia mondiale ristagna, l’Europa grande malata. E nessuno sa che fare (hai voglia a stampare denaro).

Ma questa ennesima crisi, che dal 2007 sarebbe la terza per gli Stati Uniti e la quarta per l’Europa, è davvero in arrivo? Perché martedì, mercoledì e giovedì le borse mondiali sono crollate e lo spread è schizzato sopra i 200 punti? E perché poi venerdì sono rimbalzate nella migliore giornata da tre anni a questa parte e lo spread è tornato a 160? [1].

 

Si dice che a determinare i crolli in borsa siano state la Grecia con i suoi propositi di ribellione alla troika europea e la Germania con il calo delle esportazioni, della produzione industriale e lo stallo della domanda interna. Insieme a qualche cattivo dato che viene dagli Stati Uniti e alla brutta notizia del petrolio che scende verso gli 80 dollari (spiegando che il mondo non chiede più energia come prima) [2].

 

Altri dicono che queste sono poco più che pagliuzze, la vera ragione è il timore dei mercati, ormai assuefatti da anni di droga monetaria, della fine della liquidità facile: ottobre era il mese in cui la Fed doveva definitivamente archiviare il piano di acquisto di titoli (il Quantitative easing numero 3) [3].

 

Questo spiegherebbe anche il recupero di venerdì. Giovedì sera James Bullard, governatore della Fed di Saint Louis, si è affrettato a dichiarare che la Banca centrale Usa potrebbe «frenare la riduzione degli stimoli monetari», invertendo il paradigma dell’incertezza e dando speranza al paziente tossico (i mercati) che le dosi continueranno ad essere erogate. Anche perché alle parole di Bullard hanno fatto eco le dichiarazioni di Andy Haldane, capo economista della Bank of England (un’altra banca centrale che ha stampato moneta per contrastare la crisi), che si è detto favorevole a ritardare il rialzo del costo del denaro» [3].
Dunque, in qualche modo, Fed e Bank of England si sono affrettate a sottolineare la volontà di prolungare l’attuale Qe, se non addirittura di farne uno nuovo, il quarto, e la promessa di tenere i tassi d’interesse a zero per un periodo ancora a lungo – e il mercato è rimbalzato. Insomma, ritardare la stretta mantenendosi espansive [4].

 

Alcuni analisti hanno dimostrato come, nell’ultimo lustro, l’indice del mercato azionario Usa sia salito solo quando la Fed comprava Treasury e Jim Reid, strategist di Deutsche Bank, ha osservato come l’andamento del Nyse (la più grande borsa del mondo) sia perfettamente correlato alla crescita del bilancio della Fed. Riolfi: «Al di là di ogni presunta premeditazione, l’iniziativa si configura di fatto come il tentativo di neutralizzare la politica monetaria di Mario Draghi (che da oggi inizierà il piano di acquisti di covered bond, ndr) e anche di Shinzo Abe» [4].

 

Nonostante le bocche cucite degli operatori è questa la cosa che si percepisce: gli acquisti di borsa arrivano per lo più da un trading automatico, i cui algoritmi sono stati tarati sulle parole che escono dalla bocca degli uomini della Fed e pure della Bce. Tutto quello che gli algoritmi comprendono è che si deve comprare se dalla banche centrali arriva nuova liquidità, se no si deve vendere. La conclusione è che quando la banca centrale Usa chiuderà il rubinetto della liquidità, le borse e le attività più rischiose (e l’Italia sta in queste) scenderanno, come s’è visto nei giorni scorsi [4].

 

È dunque la liquidità delle banche centrali l’unico input che funziona (da 5 anni) per far muovere borse, bond e valute. Ma davvero funziona? Longo: «Il problema è che sotto il tappeto della liquidità e dei tassi a zero (dal 2007 le banche centrali di tutto il mondo hanno aumentato la quantità di moneta, M2, da 35mila miliardi di dollari a 59mila miliardi, ndr), resta nascosta la polvere di troppi problemi e troppe fragilità: per esempio la debolezza delle banche, il rallentamento economico globale e le difficoltà dell’Europa. I nodi irrisolti, o risolti solo a metà da riforme che in molti casi non sono andate in profondità, sono ancora tanti. Troppi» [5].

 

Antonio Patuelli, presidente dell’Abi: «Le banche sono il polmone del sistema economico: se gli si stringe troppo il collo, il polmone si ferma e tutto il sistema collassa». Tesi di parte o autodifesa che sia, sta di fatto che il mercato finanziario sembra ormai confermare con i fatti quanto le banche paventavano da tempo: il rischio di soffocamento da «stretta regolatoria». Plateroti: «È difficile definire una casualità il fatto che il crollo di Wall Street, Londra, Milano, Parigi o Francoforte sia cominciato proprio con la diffusione dei bilanci trimestrali delle grandi banche internazionali: per gli investitori, la redditività stagnante, il basso rendimento del capitale e quindi gli utili asfittici emersi dai conti dei colossi americani come JP Morgan, Wells Fargo o Citigroup sembrano rappresentare non solo la conferma di uno stallo globale della ripresa economica, ma soprattutto il segnale di una svolta strutturale nel ruolo-guida avuto finora dalle banche nella crescita dei mercati e degli indici azionari» [6].

 

Plateroti: «I timori e le incertezze create dalla stretta regolatoria che rischia di soffocare le banche italiane sono gli stessi che gravano sui colossi globali del credito e soprattutto sulle cosiddette banche sistemiche, un gruppo in cui l’Italia è rappresentata solo da Unicredit. Ebbene, le proposte di revisione dei requisiti di capitale in via di definizione da parte del Financial Stability Board e dal Comitato di Basilea sulla Supervisione bancaria sono talmente ampie e confuse da aver creato un destabilizzante clima di incertezza, tanto per le banche quanto per il mercato» [6].

 

Senza entrare troppo nel dettaglio, basti pensare che l’Fsb ha fatto circolare delle bozze in cui si ipotizza di elevare tra il 16% e il 20% il «core tier one» dei colossi del credito (è il cuscinetto di capitale necessario per assorbire perdite impreviste). Sembrano pochi punti, ma quando si parla di migliaia di miliardi il risultato finale cambia radicalmente: con la soglia del 20%, le banche globali avrebbero un deficit patrimoniale di 870 miliardi di dollari, con quella del 16% di 375 miliardi di dollari. Per i banchieri, come per gli investitori, la forbice dell’incertezza comincia qui. E da qui comincia la caduta dei mercati [6].

 

L’altra grande incognita che pesa sui mercati e sull’economia è la fragilità europea. Fubini: «I grandi Paesi dell’euro, Germania, Francia e Italia, non hanno più un piano. Né nel breve, né nel medio periodo hanno la minima nozione comune di come intendono convivere sotto l’ombrello della stessa moneta. Hanno smesso da tempo di fidarsi gli uni degli altri e si muovono in maniera sempre meno coordinata, danneggiandosi a vicenda» [7].

 

Longo: «Il Vecchio continente appare sempre più litigioso, con Stati sempre più arroccati nelle loro posizioni e una politica monetaria sempre più lenta degli eventi. La deflazione è un pericolo concreto, ma in Europa continua il dibattito sull’austerità. La governance europea resta uno dei nodi irrisolti, che pesa sui mercati non appena hanno la sensazione che gli stimoli monetari globali possano rallentare. Anche perché gli stimoli della Bce, tanto attesi dagli investitori, hanno ancora troppe incognite sul loro successo» [5].

 

Tutto questo pesa ancora di più in un contesto di debolezza economica globale. Perché se l’Europa è la grande malata dal punto di vista della crescita, anche il resto del mondo frena. I Paesi emergenti, per anni traino globale, sono i primi a rallentare [8].

 

[**Video_box_2**]Un Paese come il Brasile, miracolo economico degli ultimi anni, quest’anno dovrebbe registrare un Pil in progresso di appena lo 0,3 per cento. Numero europeo. Secondo i calcoli di Commerzbank, questo sta riducendo il loro interscambio commerciale: nel 2011 le importazioni reali dei Paesi emergenti crescevano mediamente del 12% l’anno, nel 2012-2013 sono scese al 5% e ora al 2,5%. Questo frena l’economia mondiale. E frena ancora di più l’Europa. Solo gli Stati Uniti mostrano una crescita robusta, ma in un mondo che rallenta sarà difficile mantenerla [8].

 

Tuttavia, a livello globale, nessuno degli attori sa offrire indizi su come uscire dalla spirale negativa. Il Fmi ha reiterato il mantra ripetuto dal 2008 chiedendo «misure forti e ambiziose». Il gruppo del G20 non s’è pronunciato rinviando la strategia d’azione al prossimo incontro di novembre. Brambilla: «Al fondo della questione c’è un sentimento di impotenza del gotha dell’economia globale scaturito dalla consapevolezza che gli ingenti stimoli monetari di questi anni non si trasmettono all’economia e non si tramutano in posti di lavoro, e quindi in investimenti e crescita» [9].

 

Stati Uniti e Gran Bretagna sono «bright spots», lucciole solitarie, e tuttavia le controindicazioni generali ai sovra-stimoli non mancano. L’ha rilevato il direttore del Fmi Christine Lagarde – «si stanno assumendo pochi rischi sul lato economico, e troppi invece su quello finanziario» – mentre José Viñals, consigliere del Fmi, ha rincarato la dose: «I policy maker devono affrontare un nuovo squilibrio economico: non si assumono abbastanza rischi in sostegno della crescita, ma aumentano gli eccessi sul versante finanziario» [9].

 

Tradotto: i soliti vizi non sono finiti, ad esempio i derivati sono aumentati dall’inizio della crisi, il cash delle Banche centrali va a ingrossare la speculazione sia dentro sia fuori dalle Borse, tornate pericolosamente volatili. Wall Street ormai è in piena bolla. Infatti la capitalizzazione rispetto al prodotto lordo americano oggi è pari al 203 per cento, cioè è tornata al livello antecrisi [4].

 

Brambilla: «I profeti di sventura sono molti. Alcuni sono aruspici visionari. I servizi segreti americani hanno studiato l’espansio-ne monetaria (gigantesca) della Federal Reserve, e hanno concluso che la moneta si trasmette a una velocità troppo bassa per essere impiegata in modo produttivo. Hai voglia insomma a stampare banconote» [9].

 

Note: Note: [1] Il Foglio 17/10; [2] Giorgio Dell’Arti, Gazzetta 16/10; [3] A.F.D., Sole 18/10; [4] Walter Riolfi, Sole 18/10; [5] Morya Longo, Sole 18/10; [6] Alessandro Plateroti, Sole 16/10; [7] Federico Fubini, Repubblica 16/10. [8] Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 15/10; [9] Alberto Brambilla, Il Foglio 15/10.

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