Una satira ricorrente negli anni scorsi: Sabina Guzzanti accenna a un’imitazione di Lucia Annunziata (foto LaPresse)

La signorina flop flop

Marianna Rizzini

Non ha mai avuto la faccia da monella dispettosa, Sabina Guzzanti, attrice comica affezionatasi al grottesco, tipo quello del tweet di solidarietà ai boss Riina e Bagarella, imputati “privati del diritto”, ha scritto, di assistere alla deposizione di Napolitano nel processo sulla cosiddetta “trattativa”.

Non ha mai avuto la faccia da monella dispettosa, Sabina Guzzanti, attrice comica recentemente affezionatasi al grottesco, tipo quello del tweet di solidarietà ai boss Totò Riina e Leoluca Bagarella, imputati “privati del diritto”, così ha scritto, di assistere alla deposizione da testimone del presidente Napolitano nel processo sulla cosiddetta “trattativa”, oggetto di un docu-film della Guzzanti medesima, passato al Festival di Venezia e ora in sala con successo di pubblico non proprio travolgente (al limite del flop). Né ha mai avuto, Sabina Guzzanti, anche per questo brava imitatrice, il physique buffo della caratterista: regolare per lineamenti e corporatura, il più delle volte si mimetizza con vestiti scuri in stile “Occupy Wall Street”, anche se nel 2010, a Cannes, dov’era andata a presentare un altro docu-film, “Draquila”, è apparsa in foto – e ci mancherebbe – con un vestito da tappeto rosso. Ma ora, in tempi grami per l’intero carrozzone cosiddetto “mediatico-giudiziario” e per il comune sentire ex girotondino, ex popolo viola, ex post-it giallo ma sempre inguaribilmente nostalgico dei giorni d’oro della furia “NoB.”, Sabina Guzzanti, comica riluttante (l’ha detto in tv, da Michele Santoro: non ho voglia di fare battute), pare addirittura sacerdotessa investita di una missione. Abito e monaco al tempo stesso, sopravvissuta. Non ci sono più i Di Pietro di una volta (l’ex pm Tonino è tornato sul trattore). I De Magistris sono nella bufera, per non dire nella tragicommedia. Gli Ingroia non hanno sfondato (anzi). Le dieci domande di Repubblica sono un ricordo. Il corpo delle donne non è più così in cima ai pensieri delle Lorelle Zanardo. E se Michele Santoro vuole chiudere il suo talk (l’ha detto lui, in diretta: questo è l’ultimo giro per “Servizio pubblico”), a Marco Travaglio, incredibile a dirsi, tocca fare da arbitro-paciere proprio tra lei, Sabina, e l’ex procuratore Giancarlo Caselli, descritto da Guzzanti, ne “La trattativa”, come una sorta di “vanesio” pilotato dai Ros (così è parso a Lucia Annunziata, che ha intervistato Sabina Guzzanti a “In mezz’ora”). Caselli a un certo punto ha pure scritto al Fatto, lamentando i toni “da cabaret” della scena che lo riguardava, Sabina ha replicato piccata per aver ricevuto una “lezione” non “richiesta” sui limiti della satira, Travaglio ha cercato di calmare gli animi con un editoriale in cui dava a Caselli quel che era di Caselli e a Guzzanti quel che era di Guzzanti (della serie: su, ragazzi, fate i bravi, siamo tutti nella stessa baracca). Vai a capire se i litiganti si intenderanno. Fatto sta che, dopo l’editoriale di Travaglio, Guzzanti, in televisione, ha ridetto più o meno le stesse cose su Caselli, ma sempre premettendo di avere “il massimo rispetto” per l’ex procuratore.

 

Rottamata pure la concordia NoB. (il nuovo mostro, non a caso, è “il patto del Nazareno”, punto di partenza di ogni sorgente sospetto e controsospetto), l’intero canovaccio è in sofferenza. E non si diverte, Guzzanti. Non smitizza, non dissacra (i tempi, per lei, richiedono massima pesantezza), decide di prendersi definitivamente e inesorabilmente sul serio: massima sciagura per un comico. Eppure accade, e non soltanto a lei (vedi Beppe Grillo, sceso a Roma per i tre giorni del giudizio al Circo Massimo senza lume preventivo di battuta: alla vigilia della kermesse gli è toccato incontrare seriamente, e per tre ore, Luigi Di Maio, suo futuro Angelino Alfano). Guzzanti, che si è autoinvestita sibilla di messaggi importanti per la collettività (“ho sviluppato” una vera e propria “avversione per la comicità”, ha detto a “Servizio pubblico”), si dondola pericolosamente sul limitare del baratro oltre il quale si diventa barzelletta di se stessi: “I traditori nelle istituzioni sono peggio dei mafiosi”, ha scritto per meglio spiegare il tweet su Riina e Bagarella, seguita entusiasticamente da qualche deputato complottista a cinque stelle (tipo Carlo Sibilia, quello che non crede allo sbarco dell’uomo sulla Luna, e che due giorni fa alludeva agli “scagnozzi” Riina e Bagarella cui viene “impedito” di “vedere” il “boss”). “La Guzzanti che esprime solidarietà a Riina dimostra che la crisi di una certa cultura ‘di sinistra’ è ormai irreversibile”, scriveva allora Matteo Orfini, presidente pd, mentre Daniela Santanchè, al grido di “la Guzzanti s’è bevuta il cervello”, ci vedeva la classica operazione di marketing (“per convincere qualcuno ad andare a vedere ‘la Trattativa’ ci si inventa di tutto…”). I prodromi di quel tweet, comunque, c’erano già tutti: a inizio settembre, intervistata sul Fatto da Malcom Pagani, Guzzanti aveva detto che “come diceva Giovanni Falcone, i mafiosi sono uomini come tutti gli altri. Esistono uomini simpatici e uomini antipatici. A modo loro, Gaspare Mutolo e Francesco Di Carlo fanno parte della seconda categoria. Nel mio film, e mi auguro che il messaggio arrivi, non ci sono buoni e cattivi, ma solo esseri umani. Non c’è né il magistrato santo né il mafioso luciferino, perché la realtà è più complessa di qualunque schema preconcetto e le sfumature contano”. Detto una volta, ripetuto più volte.

 

Ma la veste di apprendista svelatrice di segreti italiani è solo l’apice dell’avvitamento anti comico della comica: non passa giorno che Guzzanti non esterni sul suo blog parole da studiosa di mafiologia avanzata (giudici, processi, depistaggi, caste, furbi e corrotti si contendono i titoli dei suoi scritti in bacheca). E non passa giorno che una Guzzanti levantina non si offenda per qualcosa – se è in video strabuzza gli occhi e fa la faccia di chi pensa che gli altri nulla abbiano capito, ma se è al computer apriti cielo. Qualche mese fa, a “Otto e mezzo”, aveva fatto perdere la pazienza a Massimo Cacciari: “Aspettiamo la morte politica di Berlusconi”, aveva detto Guzzanti dopo che il tribunale di Milano aveva affidato l’ex premier ai servizi sociali. “L’anima di Berlusconi è già uscita dal suo corpo ed è entrata nel corpo di Renzi. Il premier prosegue il lavoro di Berlusconi”, aveva aggiunto. Cacciari aveva guardato un po’ così, perplesso, per poi esplodere quando Sabina aveva detto “basta” ai soldi pubblici “a chi poi sposta le proprie imprese all’estero” (critica di straforo a Sergio Marchionne). “Non diciamo palle, signora, smettiamola di dire palle, le cose non stanno così”, aveva risposto Cacciari.

 

Più sta su Twitter, più Guzzanti litiga. Più litiga, più scrive su Twitter. E un giorno, all’indomani delle elezioni politiche 2013, si è scontrata senza freni col giornalista Andrea Scanzi, sull’argomento “Grillo & Casaleggio”. “Ho sempre pensato che Guzzanti fosse una Grillo senza avere avuto il coraggio di essere Grillo. Vorrei sapere: fai satira, fai politica?”, scriveva lui, mentre lei rispondeva: “Decidi tu se fai il giornalista o il cantore di Grillo, narciso nauseabondo”. Ironia della storia, ora Guzzanti e Grillo sono dalla stessa parte, con Guzzanti che difende a spada tratta da fantasmi di persecutori il rapper Fedez, autore di un inno a cinque stelle che, tanto per cambiare, parla di trattativa: “Caro Napolitano / te lo dico con il cuore / o vai a testimoniare / oppure passi il testimone!”. “Il Pd non cerchi di imbavagliarlo o di intimidirlo”, si è letto sul blog di Grillo dopo che Stefano Pedica, ora nel Pd prima dipietrista (altra ironia della storia), adombrava il “vilipendio” dietro la strofa di Fedez. E Guzzanti era già lì a sventolare scimitarre contro i mulini a vento.

 

[**Video_box_2**]In questo stato di non-comicità incipiente è giunta dunque la Sabina-regista martedì scorso ad “Agorà”, su Rai3, dove, con suo sommo disappunto, si parlava principalmente di incontro sindacati-Renzi (il giorno era pur sempre quello del vertice governo-parti sociali) e non della sua “Trattativa” (possibile che al mondo così poco importi?, diceva l’espressione trasecolante dell’orfana della piazza truculenta in cui sei anni fa imperversò, Erinni anti Carfagna e profetessa di future sventure scandalistiche, presenti tutti gli allora castigamatti: Andrea Camilleri, Italia dei valori al completo, i seguaci di MicroMega, i pre-grillini, le pre-insultatrici delle Olgettine, gli anticasta e gli anti Walter Veltroni, con contorno di Lidia Ravera e Furio Colombo). E siccome ad “Agorà” un politico di Forza Italia (Osvaldo Napoli) contraddiceva Guzzanti sulle origini di Forza Italia (che per Sabina, manco a dirlo, affondano nella “trattativa”, come pure, manco a dirlo, per lei diventa frutto della “trattativa” pure l’arrivo di Matteo Renzi, ché tutto è scritto da vent’anni), alla fine Guzzanti esplodeva con un “non faccio talk-show e vorrei essere risparmiata”, primo annuncio della successiva sequela di tweet esacerbati: “Agorà, che programma assurdo, io me ne vado, vi saluto…”, scriveva alle ore 9 e 52. “Il conduttore di Agorà, pagato con i nostri soldi, è un incapace”, scriveva all’indirizzo di Gerardo Greco alle ore 10 e 45, mettendoci pure, nella foga, l’errore di ortografia (“un’incapace” con l’apostrofo). Se n’è andata o l’hanno scollegata?, si sono chiesti allora gli spettatori sconcertati per un simile sfoggio di malumore – ma più che malumore era disorientamento: “Non mi sono innervosita, come ha scritto qualche vigliacco, sono loro che hanno tolto la linea senza nemmeno salutare”, diceva l’ultimo sconsolato dispaccio della serie, alle 15 e 45.

 

Non che una comica debba essere per forza autoironica, ma forse, chissà, la Guzzanti filmaker ed educatrice di masse avrebbe dovuto ascoltare l’accorato consiglio del Monde, che, dopo il suo sbarco a Cannes con il docu-film di denuncia “Draquila” (sulla ricostruzione dopo il terremoto a L’Aquila), si era permesso, pur definendo “corposo” il dossier, di indicare come criticità “ce cinéma à l’estomac”, ovvero “questo cinema viscerale” che “manca sovente di precisione e rigore, fa digressioni a non finire” e “si lascia trascinare dalla febbre, a rischio di vedere le sue stesse approssimazioni che gli si ritorcono contro”.

 

E pensare che era una promessa della satira, poco più di vent’anni fa, Sabina Guzzanti, ai tempi de “La tv delle ragazze” e poi di “Avanzi” e di “Tunnel”, quando ancora poteva permettere a se stessa di prendere in giro attrici e giornaliste senza per questo dover coltivare il chiodo fisso della democrazia stralciata e vituperata, dei “traditori” annidati nei Palazzi e dello stato marcio che si nasconde sotto la faccia dei politici (praticamente tutti). Imitava con gran seguito di spettatori Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi e Moana Pozzi, allora, aderendo ai personaggi perfettamente anche se non prestando a quelle maschere estro, malinconia e personalità (a differenza del fratello Corrado, che i personaggi li domina). Chissà se Sabina covava già il germe della comica che non lo fa per piacer suo – e del pubblico – ma per il compito autoassegnato che le ha rubato il cuore (“mettere in fila i fatti”, come dice lei, e farli vedere a chi, a giudicare dal flop, forse non ne può più di rovistare dietro all’apparenza). Non è dato saperlo, anche perché non si era ancora arrivati al punto in cui Sabina si sentì oggetto di un suo personale “editto bulgaro” (2003, chiusura della tramissione “Raiot”, data da cui origina tutto: c’è sempre una “cacciata” dalla Rai all’inizio di tutto, come dimostra anche il caso Grillo). Sabina aveva attaccato Mediaset (secondo la dirigenza Rai “senza contraddittorio”), il programma era stato temporaneamente sospeso, poi non era stato raggiunto un accordo e la comica si era sentita, come dirà, “in punizione”. Due anni dopo, intervistata dal Corriere della Sera, se l’era presa con il presidente della commissione di Vigilanza Rai Claudio Petruccioli (reo di aver detto che quella di Guzzanti “non era satira”). In ogni caso è da quell’episodio che sgorga una nuova Sabina (almeno a giudicare dall’autobiografia in terza persona che campeggia sul suo sito): “Novembre 2003. ‘Raiot’ chiude i battenti e Sabina Guzzanti lascia la Rai con una consapevolezza in più, il dovere di battersi per il diritto di espressione. Verve comica, ironia, il tagliente punto di vista sull’attualità, saranno le sue armi vincenti. La sua missione, dopo una lunga esperienza televisiva in programmi cult dove ha partecipato come autrice e interprete, è stata quella di raccontare la verità e far luce sugli eventi bui della storia contemporanea italiana…”. Eccola lì, la missione. Nel frattempo, molto più saggiamente, il fratello di Sabina, Corrado, si divertiva a prendere in giro Romano Prodi (“sono come un semaforo, sempre fermo”), o un Francesco Rutelli (“a Berlusco’, ricordate dell’amici”). La terza sorella, Caterina, ancora non era diventata famosa.

 

Lo farà poi, senza missioni contemporanee da svolgere (e nel 2012, quando Sabina è tornata in tv con “Un due tre Stella”, su La7, Aldo Grasso sul Corriere ha fatto il confronto diretto: “Vogliamo infine dire che Caterina ormai è molto meglio di questa Sabina che si butta via nel nome della tetraggine?”). Sabina Guzzanti si circondava già di pensieri fissi e foschi su poteri economici amici del Bilderberg (c’era Mario Monti al governo) e immancabili trame mafia & stato oltreché di esponenti di teatri occupati, precari diseredati ed economisti anti sistema. Addirittura riportò in video, dopo anni di parziale sonno mediatico, un Giulietto Chiesa anti yankee e un Michael Moore anti tutto. E a quel punto sempre Grasso sbottò: “… Forse si sperava in un programma che indulgesse meno al predicatorio e pescasse ad antiche riserve di satira. Niente da fare. L’avvio è lento (se nove anni vi sembran pochi provate voi a lavorar o a rinnovare il repertorio)… Guzzanti ha molti rospi da togliersi ma il programma procede tra noia e tristezza, tra comizietti e saccenterie: propaganda infida… Insomma, Guzzanti si salva solo con le vecchie imitazioni…”. Lei, Sabina, sul suo sito, dice invece di essere “alla costante ricerca di nuove forme di drammaturgia”. Tuttavia il nuovo, negli altri, le fa ribrezzo. Nel 2009 disse che la fusione Ds-Margherita le ricordava “Jeff Goldblum” che si fonde “con la mosca nel film di Cronenberg… uno strano senso di euforia nella prima fase, di forza sovrumana, poi il corpo comincia a perdere pezzi.…”.

 

“Sono molto più stronza di come mi dipingete”, ha detto un giorno Sabina Guzzanti, per la quale la “character assassination”, esecuzione verbale di un personaggio pubblico con distruzione della sua credibilità, è sempre divertente quando è lei a farla. Ma sempre meglio quella Guzzanti d’antan dell’attuale, quella che, allarmata, parla sul web di terribile “rischio di non arrivare nemmeno stavolta alla verità”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.