La mela del Jobs Act non è dolce, ma toglie Cuperlo di torno

Mario Sechi

Basta una sventagliata di boccoli della Boschi per disperdere le forze oscure della reazione. Fratello Sole e compagno Landini

Jobs. Steve non c’è più, ma Renzi sfodera l’Act e convince il Parlamento a mordere la mela della delega sul lavoro. Missione che sembrava impossibile solo ai suoi detrattori senza pallottoliere. La conta finisce giovedì 9 ottobre all’una di notte: il premier incassa 165 sì, 111 no e un libro volante diretto contro un bersaglio grosso, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Due a zero, palla al centro.

 

S’è raccomandato a san Francesco, Renzi, quando sabato 4 ottobre ad Assisi ricorda “fratello Sole e sorella Luna”. Ispirato dal Cantico delle creature, dimentica che in piazza Santi Apostoli a Roma c’è un aulico Maurizio Landini: “Contrapporre i diritti del padre perché il figlio è precario è una coglionata totale”. E’ la sinistra elegance che tanto ama Renzi da definirlo “acido” (Gianni Cuperlo). Gli oppositori brandiscono la clava del partito con pochi iscritti, ma il segretario gioca di contropiede e domenica 5 ottobre fa gol a porta vuota: “Preferisco avere una tessera finta in meno e un’idea in più”. Urne piene, partito vuoto? Non proprio, il partito c’è e alla fine lotta pure insieme a lui. Anche perché senza lui non saprebbe dove andare. E poi in casa dem basta un arbitraggio dadaista durante Juventus-Roma per lanciare nell’agenda istituzionale il fondamentale dibattito su Rocchi. Ci pensa il deputato Marco Miccoli a investire le istituzioni del caso: interrogazione in Parlamento ed esposto alla Consob. Ah, ci mancava solo la “Rubentus” e il “visto quello che è accaduto, per assicurare una regolarità del campionato è indispensabile l’uso della moviola” (Fabrizio Cicchitto, con la sciarpa giallorossa sul collo, ore 14 e 39), al calar delle prime ombre della sera il governo autorizza la fiducia sul Jobs Act e tanti saluti alla fumosa minoranza. Caterpillar. E’ quello che i sindacati si ritrovano martedì 7 ottobre a Palazzo Chigi. Renzi alle 9 e 33 li aggira con un “ci sono sorprendenti punti di intesa”, poi la Camusso fa dietrofront ma Renzi trova conferma sulla bontà della linea quando Sergio Cofferati alle 9 e 42 dice che “è un errore”. La muraglia cinese si sgretola mercoledì 8 ottobre quando il capo della divisione panzer di Renzi, Maria Elena Boschi, dà una sventagliata di boccoli ai lentopedi: “Bisogna correre con le riforme strutturali che devono agire a 360 gradi”, mentre il caro leader a Milano incassa il via libera di Angela Merkel: “L’Italia sta facendo un passo importante”. Achtung, la cancelliera lavora per isolare i ribelli francesi, ma non ci sono buone notizie neanche per lei, la produzione industriale tedesca è in calo e Matteo ha un futuro davanti mentre Hollande ne ha uno alle spalle. Tattica. Ma utile a Renzi per rilanciare giovedì 9 ottobre la palla del tfr in busta paga, rientrare in zona Disney e Tarantino dicendo che non è “né Paperoga né Mr Wolf”, entrare nei panni del Berlusconi di Pratica di Mare annunciando che “faremo incontrare Putin e Poroshenko”. Più pace per tutti, cribbio. A tutto gas. Coperta d’inverno. E gelo per la minoranza pd quando Napolitano venerdì 10 ottobre parla di Jobs Act con una dichiarazione-fulmine: “E’ un passo avanti in un quadro di riforme che contiene molti altri elementi ancora da coltivare”. Copertura politica.

 

Sfoglio il Moleskine, ultimi appunti della settimana, un venerdì umido, flashback di taccuini andati: Genova sommersa, saremo un paese leader in vent’anni, Padoan non teme il giudizio di Moody’s sull’Italia, Draghi teme una frenata della crescita e degli investimenti, giornata di ribassi, ripassi e contrappassi. E poi, Renzi dice che “se questo paese smette di fare polemiche, litigare, è tranquillamente in condizione di farcela”. Tranquillamente? Dal diluvio, emerge ancora Giovanni Toti: “Qualcuno si assuma le sue responsabilità”. Ottimista.

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