Beppe Grillo sul palco della festa grillina al Circo Massimo (foto LaPresse)

Com'è triste il demagogo sconfitto, che pena Calvero al circo

Giuliano Ferrara

Grillo non poteva che essere un piccolo fenomeno di transitorio e inutile successo. Ed era un ottimo cabarettista politico. Barzellette, controsensi, astruse ma divertenti teorie sull’industria, la comunicazione, i soldi, le miserie umane e civili del suo paese e del capitalismo: finché non si è messo in testa di comandare.

Com’è triste il demagogo sconfitto. Vede i vuoti nella piazza. Incorniciato da una capigliatura vaporosa e bianca, si agita goffo dove saltabeccava sovrano, gli occhi emanano stanchezza, stordimento. E’ circondato da malevolenza, incredulità, una piccola claque lo sostiene compassionevole. Quando poi il demagogo è un attore, alcolizzato cronico delle battute di una vita, dipendente dal palcoscenico che non gli regge più sotto le scarpe da clown, cerca il prodigio che non arriva, incespica, si volta verso l’orchestra per soccorso e sono tutti a prendere un caffè, infine biascica, traballa, brucia di una rabbia che non può più esprimere, il populazzo lo ha sopravanzato, vuole il solito banchetto e lui non ha da offrirgli che un pallido blues, fotografi e telecamere amiche ora riprendono le chiazze piene di noncuranza e di spregio di quelli che non ci sono più e non ci saranno mai più: che pena devastante, vera compassione per Grillo, derelitto Calvero in attesa di Bennato.

 

Aver detto che vinceremo, abbiamo vinto, pazienza: ma ripeterlo. Aver dato la baia allo psiconano e al rienzi, va bene, ma ripeterlo. Insultare Napolitano, due palle. Dirsi uno che vale uno, ora che vale meno di uno qualsiasi, meno di Di Maio, ora che gira sul cart elettrico tra i gazebo tristi della sagra romana al Circo delle bighe e della gloria, e ripeterlo, ripeterlo, ripeterlo. Dai tempi del vaffanculo, quando i più servili e scemi gli portavano l’acqua con le orecchie, annuncia apocalisse, danna la Germania, imita la Germania, predica welfare per tutti, pelo per tutti, reddito per tutti, fa il vantone, in Austria si parla di lui, lui ha la soluzione per ogni problema, il lavoro ma anche l’ozio, ma ora rifluisce l’oratoria sexy, manca l’energia.

 

Ideologi Becchi e Casaleggio, Grillo non poteva che essere un piccolo fenomeno di transitorio e inutile successo. Ed era un ottimo cabarettista politico. Barzellette, controsensi, astruse ma divertenti teorie sull’industria, la comunicazione, i soldi, le miserie umane e civili del suo paese e del capitalismo: finché non si è messo in testa di comandare, e di comandare per posta, via web, con una mail, era attore e principe di se stesso. Come principe nuovo, fondatore di stato, marciatore su Roma, non poteva che affogare nel grottesco, dare il peggio, prendere la china che porta dalla fede alla credulità alla miscredenza. Oggi potrebbe raggiungere Razzi in Corea del Nord, battersi a mani nude con il prode Salvini, è passato di categoria. Gioca irrimediabilmente in B.

 

[**Video_box_2**]La cosa più terribile è che non si è accorto di quelli che gli stanno di fronte e gli battono le mani, dei loro veri pensieri, di come sono fatti, della loro pulsione rancorosa e vaga, del loro divertirsi, proprio un circo, una giostra non cavalleresca, il torneo degli insulti che stanno nella pancia di tutti, nelle budella del pubblico vile. Ha avuto l’illusione della comunità, si è fatto lusingare da Michele Serra, dico poco, e ci è invecchiato dentro alle lusinghe, in una mezza dozzina di anni atroci. Pensa di voler bene, il demagogo, e che tutti gli vogliano bene. Ripete che è sincero, autentico, che ha fatto i soldi e potrebbe fregarsene, ma no, la comunità lo chiama, lo invoca, e intanto i suoi si piazzano nelle file internet per garantirsi con due trecento voti cliccati un posticino al sole, per illustrare Senato, Camera e municipi della propria merda viscerale, per esprimere impotente violenza.

 

La trasformazione di un carnefice del sistema in una vittima, di un apritore di scatole di tonno in tonno sott’olio, che spettacolo grigio e mesto, appena coperto dalla sagra musicale e dal chiasso. Spettacolo di miseria cui oggi si addice il silenzio, e ne avrà di silenzio, il demagogo perduto, ché i chiacchieroni di ieri, quelli che lo aspettavano al varco per fare le loro incaute vendette sulla Repubblica, ora chiuderanno la bocca senza dignità. Resteremo in pochi a rammentarlo, a dirlo, a spiegarlo, a compatirlo. Vedrete.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.