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Nobel modianesque

Mariarosa Mancuso

Comminato a Patrick Modiano il premio per la Letteratura. Colpe: 28 libri e una canzone per Françoise Hardy.

L’eterno perdente Philip Roth ha regolato i suoi conti con l’Accademia svedese qualche mese fa. Interrogato sul Nobel mai vinto – e che a questo punto possiamo dire che non vincerà mai, a meno di un miracolo – rispose: “Se il mio romanzo ‘Il lamento di Portnoy’ fosse stato intitolato ‘L’orgasmo ai tempi del rapace capitalismo’ sono sicuro che i giurati si sarebbero accorti di me”. Tace invece, ed è sempre il New York Times che riporta il pettegolezzo, sui pasticcini e lo champagne preparati anno dopo anno per la grande occasione negli uffici del suo editore.

 

Patrick Modiano è troppo famoso e troppo premiato per cedere alla tentazione di dire “Modiano chi?”. In Francia lo conoscono per i 28 libri scritti dal 1968 a oggi, per il Goncourt vinto nel 1978 con “Rue des Boutiques Obscures”: fin dal titolo, spia della sua passione per le cartine stradali. In Italia molto ha contato il successo di “Dora Bruder” (Guanda). E’ uno scrittore che non tradisce le aspettative dei suoi lettori, e infatti i nemici lo accusano di scrivere sempre lo stesso libro, la critica che da noi era rivolta a Alberto Moravia. Racconta nei suoi romanzi la Francia occupata dai nazisti, e lo ha fatto anche nel film scritto con Louis Malle, “Cognome e nome: Lacombe Lucien”.

 

Dora Bruder è una ragazzina scappata dal collegio, i genitori la cercano con un annuncio uscito su Paris Soir nel 1941. Patrick Modiano molti anni dopo ritrova il giornale e si mette sulle tracce di Dora (che ritroverà il padre e finirà con lui al Velodromo d’inverno, dove furono tenuti prigionieri gli ebrei francesi dopo la retata). Percorre strade, cerca cinema e alberghi ormai chiusi, gli stessi della sua infanzia di ragazzino nato nel 1945. “La mia memoria precede la mia nascita”, disse una volta a Raymond Queneau, che era stato suo insegnante e che lo aveva aiutato a pubblicare il primo libro.

 

Patrick Modiano smise di vedere il padre, collaborazionista e borsarolo nero, all’età di diciassette anni. La madre era un’attrice belga, così poco affettuosa che il cagnetto di casa “si suicidò buttandosi dalla finestra” (è lo stesso Modiano a dirlo, ed è anche l’unica battuta di spirito registrata nelle rare interviste). Il fratello minore Rudy morì giovanissimo, a lui sono dedicati i primi romanzi. Ci sono gli estremi, anche senza contare gli anni passati in collegio, per sentirsi un sopravvissuto (e nel tempo libero aiutare Catherine Deneuve a scrivere un libro sulla sorella Françoise Dorléac, morta in un incidente stradale: “Elle s’appelait Françoise…”).

 

[**Video_box_2**]“Modianesque” è l’aggettivo che i francesi hanno coniato per Patrick Modiano. Una terra di mezzo tra la logica e l’assurdo, tra il buio e la luce, tra la memoria e la dimenticanza, tra il bianco e il nero. Un modo (dettato dall’esprit de finesse) per dire che la sua scrittura è semplice ma non priva di pretese. Frasi brevi, sintassi ai minimi termini (si tagli la lingua chi lo ha paragonato a Marcel Proust), sospensione e mistero. L’ultimo romanzo, nelle librerie francesi dal 2 ottobre scorso, si intitola “Pour que tu ne te perdes pas dans le quartier”: numeri di telefono smarriti e infanzie perdute. “Etonnez-Moi Benoît!” è invece il titolo della canzone scritta nel 1969 per Françoise Hardy.

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