Lost in Pd. Piketty cerca le fan ma trova Cuperlo e Civati
Pochi ormoni giovani dunque alla première romana di Piketty, il sex symbol che scalda le platee mondiali sostenendo che (il punto) G è inferiore a R, cioè la crescita economica è sempre minore della rendita, di qui la fondamentale iniquità crescente delle nostre società e la necessità di una patrimoniale globale.
Roma. Le signore sono deluse. Le signore dei Parioli coi capelli appena fatti, in fila a piazza Montecitorio, si aspettavano di più dalla tappa romana del tour di Thomas Piketty, l’economista più rock dai tempi di John Maynard Keynes. La coda arriva fino all’obelisco, ma loro sono pronte, coi colpi di sole e la carta di identità in tasca. Pochi ormoni giovani dunque alla première romana di Piketty, il sex symbol che scalda le platee mondiali sostenendo che (il punto) G è inferiore a R, cioè la crescita economica è sempre minore della rendita, di qui la fondamentale iniquità crescente delle nostre società e la necessità di una patrimoniale globale.
Niente ormoni, e niente jeunes filles dorées come invece due giorni fa alla università per capitalisti Bocconi, a Milano, niente studentesse in visibilio. Unica eccitazione, quando arriva lui, Piketty, con blazer nero d’ordinanza, e pantalone chiaro con risvoltino corto, scortato da Elisabetta Sgarbi, lei in un vestito verde acido, stivaletti puntuti sadomaso, occhialoni scuri. Sembrano due cantanti french touch, pronti per fare baldoria su un aereo privato o rompere delle suite d’albergo, invece si va alla Camera per parlare di diseguaglianze. Qui, unico grande sturbo, quello della presidente della Camera, Laura Boldrini, che introduce Piketty con entusiasmo da fan, insieme all’economista molto pikettiano Stefano Fassina. Piketty da consumato professionista non si fa deprimere dal pubblico poco erotico: non solo niente ragazzine a strapparsi i vestiti, ma c’è invece tutta la minoranza Pd: c’è Corradino Mineo che sta in piedi tutto il tempo, e ha appena non votato la fiducia al Jobs Act.
[**Video_box_2**]C’è Pippo Civati, che però resta solo una decina di minuti e poi se ne va. C’è naturalmente Fassina, che dal palco parla di “teoria dello sgocciolamento”, “circuito della accountability democratica”, del lavoro pikettiano come “bene comune dell’umanità” (i traduttori sono in difficoltà, il pubblico è in sindrome corazzata Potemkin, qualcuno forse nasconde un televisore sotto il soprabito). D’Alema, in prima fila, è più depresso del solito, è vestito di nero o di grigio scurissimo, si guarda e si annusa le mani, forse perché questa è la sala dove nacque e perì la sua Bicamerale. Susanna Camusso prenota voli Alitalia con il suo iPhone, poi fa un piccolo consiglio di guerra con Giorgio Airaudo (già Fiom, ora Sel). Lui dice che andrà presto dai metalmeccanici di Brescia, e lì sì, gliela faremo vedere al Renzi; Camusso stacca dalle sue app e dice che “il voto non è la fine, è l’inizio, la lotta vera arriverà dopo”. Cuperlo è silenzioso e cortese, dice che “il libro di Piketty è molto bello”, mentre così a sentirlo non si capisce tanto bene.
Piketty infatti parla una lingua incomprensibile, sembra sempre più Bill Murray in “Lost in Translation”, e ha la stessa aria della star occidentale in tour obbligato in un paese esotico. Dice “west” invece che “wealth”, “sing” invece che “thing”, e nessuno riesce a capire niente né in inglese né in francese. Poi attacca con le slide tratte dal suo libro. “Minchia, ancora!”, dice un collega, sono le stesse che porta in giro da otto mesi per il mondo. Piketty andrà poi da Santoro insieme a Bersani (commento di qualcuno: “Così gli ammazzano definitivamente lo share”), e poi oggi sarà a Francoforte: il tour continua, di nuovo lost in translation.
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