Un agente del secret service (foto AP)

Non solo Secret Service

Così è andato a mignotte un altro caso di insabbiamento di Obama

Il Washington Post spiega che la Casa Bianca sapeva delle notti libertine in Colombia delle guardie del presidente.

New York. Un’inchiesta del Washington Post spiega che la Casa Bianca, contrariamente a quanto ha sempre sostenuto, era coinvolta nelle notti brave di Cartagena, in Colombia, dove due anni fa gli agenti del Secret Service invitavano prostitute nelle camere d’albergo durante la preparazione di un viaggio di Barack Obama. Allora, era l’aprile del 2012, è stata ordinata un’indagine interna che ha portato al licenziamento di dieci agenti del corpo che protegge il presidente e al declassamento di altri quindici. La posizione della Casa Bianca era chiara: “Nessun membro del team della Casa Bianca ha tenuto comportamenti impropri”. Il caso di Cartagena è stato venduto al pubblico come una faccenda di mele marce e di cameratismo militaresco nello scenario lascivo delle torride notti colombiane, dove le cinghie si allentano con una certa facilità. A Cartagena la prostituzione non è nemmeno reato, ma questo non giustificava certo la condotta libertina di agenti che dovrebbero occuparsi della protezione del capo del mondo libero. Gli uomini di Obama se la sono cavata con punizioni esemplari e un po’ di spin, continuando però a specificare che il personale della Casa Bianca non aveva nulla a che vedere con le circostanze contestate.

 

I giornalisti del Post hanno messo il naso nelle carte dell’indagine, hanno frugato fra le ricevute degli alberghi, hanno incrociato dati e trovato buone fonti nella commissione che ha condotto l’inchiesta, hanno anche mandato – invano – due cronisti in Colombia per tentare di rintracciare la prostituta, e tutti gli indizi portano al nome di Jonathan Dach, che ai tempi dello scandalo era un venticinquenne studente della scuola di legge di Yale che faceva servizio volontario alla Casa Bianca. Le informazioni raccolte dal Washington Post dicono che era lui la persona che ha invitato una prostituta e altri agenti del Secret Service nella camera dell’Hilton, ma quando il funzionario della Casa Bianca, Kathryn Ruemmler – si fa il suo nome per rimpiazzare il procuratore generale in uscita, Eric Holder – è stata informata, le sue indagini non hanno mostrato nessun reato o violazione del protocollo. Ironico che ora Dach sia un consigliere del dipartimento di stato per gli “affari globali delle donne”. Ancora più problematico il fatto che tre fonti mettano in bocca a David Nieland, investigatore capo del caso, questa frase: “Ci è stato ordinato allora di posticipare la pubblicazione del report dopo le elezioni del 2012”. Le pressioni arrivavano direttamente dall’ufficio dell’ispettore generale, Charles Edwards.

 

[**Video_box_2**] La versione del Post, insomma, rappresenta un caso in cui la vera notizia è l’insabbiamento del fatto, non il fatto in sé. Una violazione tutto sommato minore si è trasformata in un inquietante caso politico quando gli uomini della Casa Bianca hanno preso a fare pressioni per occultare le prove, con motivazioni esplicitamente elettorali. Non è un plot inedito. Anche sull’assedio all’ambasciata di Bengasi, in Libia, pochi mesi più tardi delle notti colombiane, pesa come un macigno il dubbio che la Casa Bianca abbia messo gli interessi elettorali davanti all’imparzialità delle indagini, insistendo per settimane su un’improbabile protesta sfuggita di mano. Lo scoop di Cartagena racconta di un’Amministrazione opaca, ossessionata dal controllo, con meccanismi interni di pressione che evocano metodi nixoniani più che le promesse di trasparenza con cui in origine Obama s’è fatto largo in campagna elettorale. Se il governo ha messo in piedi la complessa impalcatura che il Post ricostruisce minuziosamente per coprire uno scandalo minore, chissà cosa inventa per quelli seri, questo si dice a Washington.

 

Il “damage control” goffo

 

Mercoledì sera, poco dopo la pubblicazione dello scoop sul sito del Post, la Casa Bianca ha iniziato le operazioni di “damage control” tenendo la linea della minimizzazione. Josh Earnest, portavoce di Obama, ha scritto su Twitter che le notizie riportate erano già state pubblicate due anni fa dall’Associated Press e da altri media, è tutta roba vecchia e stranota. Ma gli articoli di allora mettevano al condizionale il coinvolgimento della Casa Bianca, senza fare nomi e – soprattutto – senza raccontare la controffensiva sotterranea di Obama per insabbiare gli esiti dell’indagine per ragioni elettorali. La storia è resa anche più pruriginosa dall’identità del volontario al centro della vicenda. Jonathan Dach è il figlio di Leslie Dach, ex lobbista e generoso finanziatore del Partito democratico, nonché collaboratore di Michelle Obama nei progetti contro l’obesità infantile. Quest’anno anche lui, oltre che suo figlio, ha ottenuto un posto nel governo, come funzionario del dipartimento della Salute.

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