Un cantiere per la costruzione della linea C della metropolitana di Roma (foto LaPresse)

Calce e martello

Redazione

Creare lavoro puntando sui costruttori privati, non sul pubblico. I numeri

Ieri mattina, all’Auditorium di Roma, il sindaco Ignazio Marino è stato sfiduciato in pubblico da una delle associazioni industriali più pesanti della capitale, quella che riunisce la galassia dei costruttori romani (Acer), che durante la sua assemblea annuale, per sintetizzare la qualità del lavoro svolto nell’ultimo anno dal sindaco, ha offerto al primo cittadino un numero speciale della propria rivista composto unicamente da molte pagine bianche. Sulla qualità della vita a Roma – e sul piacere di girare per la città circondati regolarmente da branchi di pantegane che dopo aver passato parte delle proprie giornate a rovistare in mezzo a varie tonnellate di rifiuti non raccolte si dilettano facendo dorso in mezzo alle buste di plastica sul Tevere – si potrebbe scrivere un buon romanzo d’appendice, ma il punto che qui ci interessa riguarda un aspetto che costituisce il paradosso industriale di una città come Roma: i milioni di euro spesi ogni anno per foraggiare un sistema pubblico che non solo produce clamorose sacche di inefficienza ma che non riesce più a essere neppure un contenitore valido per arginare la crescita della disoccupazione. Il dato (fonte Cresme) è significativo: tra il 2001 e il 2011 Roma ha registrato un aumento degli occupati nel settore privato pari a 189 mila addetti e una contestuale diminuzione degli occupati nel settore pubblico pari a 39 mila addetti.

 

E i numeri hanno un loro interesse se si aggiunge un dettaglio: negli stessi anni in cui (anche a Roma) il settore pubblico non è stato più in grado di produrre posti di lavori è cresciuta la spesa per il personale pubblico del nostro paese (tra il 2001 e il 2009 è passata dal 10,5 all’11,2 del pil, in Francia è rimasta stabile, in Germania è calata di 0,5 punti percentuali). Fanno bene i costruttori a dire che “la politica non deve più saccheggiare la spesa pubblica” e che “le case non devono essere usate come un bancomat”. Chiedere sussidi e incentivi in una fase come questa in cui i soldi non ci sono sarebbe un errore e una sciatteria. Ma chiedere a un sindaco – e anche a un presidente del Consiglio – di utilizzare i pochi soldi che ci sono per sbloccare il paese a colpi non di provvedimenti spot (sblocca Italia) ma a colpi di detassazioni, deburocratizzazioni e semplificazioni legislative potrebbe essere un suggerimento utile per stimolare lo sviluppo e combattere la disoccupazione. E la disoccupazione, oggi come non mai, si fronteggia dando la possibilità di crescere più al privato che al pubblico.

 

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