Hillary Clinton e Barack Obama (foto AP)

L'assedio interno

Obama sotto il fuoco amico del "team of rivals"

Leon Panetta è soltanto l’ultimo fuoriuscito dell’Amministrazione a criticare Barack Obama con un libro di memorie per nulla indulgente verso la Casa Bianca. E’ il prezzo che il presidente paga per aver assunto, sul modello di Lincoln, un “team of rivals” nella squadra di governo.

New York. Leon Panetta è soltanto l’ultimo fuoriuscito dell’Amministrazione a criticare Barack Obama con un libro di memorie per nulla indulgente verso la Casa Bianca. E’ il prezzo che il presidente paga per aver assunto, sul modello di Lincoln, un “team of rivals” nella squadra di governo: i rivali interni allargano lo spettro del consenso e sfidano le opinioni prevalenti quando sono in carica, ma una volta liberi dal vincolo governativo scaricano fuoco amico sul presidente ancora in sella alla Casa Bianca. La critica interna è un classico nella tradizione anglosassone delle memorie politiche, ma una volta veniva praticata per lo più in forma postuma, quando il bersaglio delle critiche era perso in qualche ranch a dipingere e organizzare ricevimenti benefici, e comunque il prodotto era consumato prevalentemente all’interno della tribù politica. Fuori erano in pochi ad avere il nerbo per affrontare le esternazioni strategiche di un segretario di stato grafomane. Ora le memorie affiorano così rapidamente che di fatto parlano di attualità, non del passato, e le anticipazioni, i cicli di interviste, i tweet e le recensioni in tempo reale gettano le informazioni nella dimensione del presente. Continua a essere un genere poco battuto dal lettore comune, ma con il tasto “search” non c’è bisogno di morire di noia per individuare i paragrafi più pruriginosi. “Worthy Fights: A Memoir of Leadership in War and Peace”, il libro dell’ex segretario della Difesa e capo della Cia, non è il più urticante fra quelli usciti finora – la palma spetta a Robert Gates, unico segretario riconfermato dell’Amministrazione Bush – ma spiega che “Obama has kind of lost his way”, ha perso la bussola nel mondo che aveva creduto di governare. Panetta critica in particolare le scelte di Obama in Iraq e Siria: per mancanza di convinzione la Casa Bianca non ha “condotto i negoziati con al Maliki” sulla presenza delle truppe americane, e “a oggi continuo a pensare che una presenza di truppe americane in Iraq avrebbe potuto efficacemente addestrare l’esercito iracheno su come affrontare il ritorno di al Qaida”. Come dire: se Obama avesse fatto la cosa giusta ora non dovremmo assistere più o meno impotenti all’assedio di Kobane.

 

Ieri il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha detto che nonostante i bombardamenti americani la città di Kobane “potrebbe cadere”, e ha chiesto “un po’ di pazienza strategica” in questa fase di scontri con lo Stato islamico. Proprio l’interpretazione obamiana della pazienza strategica è uno degli idoli polemici di Panetta, secondo cui il presidente ha “vacillato” in Siria, mandando “il messaggio sbagliato al mondo”, non ha sostenuto tempestivamente i ribelli, ha lasciato che l’Iraq ritornasse a essere un “rifugio per i terroristi”. Non proprio strategica come pazienza. “Ci vorrà molto tempo per riparare i danni che hanno avuto origine dalla perdita di credibilità sulla Siria”, scrive Panetta, il quale, naturalmente, suggeriva soluzioni diametralmente opposte a quelle adottate dal “professore di legge” – nel contesto non è un complimento – il che mostra che la memorialistica politica pubblicata a breve giro di posta è l’arte prediletta dei consiglieri inascoltati. Il genere “te l’avevo detto” è stato largamente praticato da Bob Gates; l’ex capo dell’ufficio Budget, Peter Orzsag, ha detto che nonostante la campagna elettorale venata di novità, l’Obama di governo è come tutti gli altri, Hillary Clinton ha fatto mostra dei suoi disaccordi con il presidente sulla Siria e nelle interviste a margine si è fatta beffe di uno dei princìpi fondanti della politica estera di Obama: “Don’t do stupid stuff”.

 

[**Video_box_2**]Per Hillary la rappresentazione del passato nel governo di Obama è questione che riguarda il futuro. Panetta è un politico a fine carriera, si occupa dei nipoti e delle sue noci in California, Hillary ha davanti a sé una campagna elettorale in cui, visto l’andazzo, l’unico modo per riprendere credibilità è smarcarsi da Obama. Un principio che conoscono bene anche i candidati democratici alle elezioni di midterm, che spiegano alla Casa Bianca che l’aiuto del presidente sul campo non è gradito. I giornalisti Mark Halperin e John Heilemann suggeriscono che lo smarcamento di Panetta, vecchio sodale clintoniano, favorisca decisamente Hillary, che si presenta come portavoce dei falchi di sinistra e critica del fallimentare pragmatismo obamiano. Che la circostanza sia incidentale o accuratamente pianificata dalla tribù dei Clinton è materia per retroscenisti. Di certo l’accumulo di critiche interne sugli scaffali di Obama non è piaciuto al vicepresidente, Joe Biden, che ha tuonato contro l’usanza: “Almeno aspettate che non sia più alla Casa Bianca”.